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22.6.08

Lontano Dal Paradiso (Far From Heaven, 2002)
di Todd Haynes

Di Todd Haynes per una serie di casualità non conoscevo nulla prima di Io Non Sono Qui, avevo perso sia Velvet Goldmine che Lontano Dal Paradiso all'epoca della loro uscita e mai recuperati.
Inutile dire che dopo la visione del capolavoro dylaniano si è imposta la visione dei precedenti exploit non appena mi fosse stato possibile.

Lontano Dal Paradiso è quello che avevo letto e ancora di più: un esercizio di stile pauroso con dietro una visione e una conoscenza cinematografica profondissima (conoscenza del passato e della tecnica), ma anche un fenomenale film a se stante.
Haynes non parte tanto da Sirk, ma dagli anni '50 e dalla realtà dell'epoca per farne un ritratto più obiettivo di quello che si poteva evincere dal cinema dell'epoca. Per fare questo utilizza quel filtro, cioè utilizza il modo in cui chi non ha vissuto quegli anni li vede, l'immagine mediatica che ne abbiamo tutti quanti e che ci viene dal cinema, dalla televisione e dalle foto d'epoca. A questa però aggiunge dei tocchi di realismo all'epoca impensabili.

E' fenomenale l'equilibrio tra passato e moderno, frutto di scelte davvero altissime.Trama moderna su scenografie passate, movimenti di macchina assolutamente moderni su fotografia che guarda indietro con i suoi colori usati in chiave espressionista, recitazione moderna su movenze passate (si baciano solo a stampo), situazioni passate per intrecci moderni, ritmo passato e dialoghi moderni... E si potrebbe continuare a lungo.

Ma come dicevo goduria cinefila e tecnica a parte (ma che piacere che da però...), Lontano Dal Paradiso fa anche un suo discorso autonomo non tanto sul razzismo negli anni '50, quanto sulla solitudine umana e l'alienazione della vita borghese dell'epoca. Proprio come i melodrammoni dell'epoca il tema messo in primo piano è uno (anzi in questo caso due: razzismo e omosessualità), ma sotto, mentre tutti sono distratti a pensare al razzismo, passano altri significati, passa una visione di mondo che cozza con i colori brillanti di Edward Lachman fatta di terribile solitudine, una visione cinica del mondo in cui nessuno a nulla e alla fine nulla si può risolvere perchè la società intesa come aggregato di esseri umani dal quale ognuno può trarre vantaggio semplicemente non esiste.

Opera coltissima che cerca il consenso popolare senza tuttavia abbassarsi a dare al pubblico quello che vuole ma solo proponendo diversi livelli di lettura. Chi li vuole leggere poi lo fa e chi non vuole non lo fa.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

secondo te la tecnica di un regista, il suo stile, che può passare dal citare scene di altri film o realizzare scene o immagini in maniera particolare, deve essere una cosa a se stante, oppure un qualcosa di funzionale al film?
Io tendo a pensare che nel cinema di oggi stile e tecnica di un regista sono diventati quasi le componenti principali di un film. E ovviamente preferivo il passato dove erano strumenti funzionali alla qualità del film.
Ci tengo a precisare due cose però:
La prima è che non sono contro questo tipo di scelte, mi piacciono di meno. La secondo è se si può parlare di stile quando un film è fatto solo di situazioni prese da altri film, cioè quasi citazionismo, ma non volontario come può essere ad esempio nel postmoderno...
Forse torniamo al solito discorso del chiedersi se è bello o no Au Bout De Souffle... Vorrei tentare di articolarlo stavolta...


gparker ha detto...

Tutto deve essere sempre funzionale al film perchè il film è il prodotto e il fine ultimo. Una cosa a se stante vale molto poco, o quantomeno può al massimo avere un valore accessorio.

Nel caso particolare non si tratta di un film fatto con scene di altri film ma anche se fosse la cosa sarebbe altamente accettabile (come i documentari realizzati unicamente con materiale di repertorio) se messo a frutto per qualcosa di più complesso, cioè il film.

In breve, la materia di cui è fatto il film sono scene che parlano tra di loro, cioè intrattengono un rapporto dialettico dato dal montaggio. Ogni scena ha un suo significato solo immersa nel film e quindi preceduta da altre e seguita da altre. Il significato totale e anche il valore, il ritmo e l'apprezzamento del film anche da parte del pubblico più generico è così dovuto a come questi segmenti di significato sono posizionati nel film, cioè come si articola il racconto. La migliore scena d'azione o drammatica non funzionerà mai bene se non inserita nel momento giusto.

Ma il concetto di "scena", non è necessariamente quello di una parte recitata girata per l'occasione, può anche essere materiale di repertorio, immagini documentaristiche, plagi, furti, parodie ecc. ecc. Dipende che uso se ne fa.

Rielabora il cinema passato, citarlo, rifarlo è ottimo se questo cinema lo fai tuo, cioè se parti da quello. A Bout De Souffle parte dal cinema americano, parte dal noir e lo usa per arrivare da altre parti. Le sue novità in campo di montaggio, stile libero, recitazione e scrittura dei dialoghi utilizzano i caratteri del cinema di serie B americano dell'epoca per fare qualcosa che sia altro.


EmmeBi ha detto...

Ho adorato questo film. Per tutti i motivi che tu citi.


gparker ha detto...

Infatti direi che è ora di considerare ogni nuovo progetto di Haynes degno di hype a prescindere.


Anonimo ha detto...

Era ora! Quale gioia leggere finalmente la tua recensione a questo gioiello di Haynes. Recensione precisa e acuta comme d'abitude.


gparker ha detto...

Beh si era tanto che anche io lo volevo vedere...


Anonimo ha detto...

Di Haynes mi mancano i primi due, e né per Velvet Goldmine che per Io non sono qui (ma meglio, e neanche poco, il primo del secondo) mi sono strappato i capelli. Invece Lontano dal paradiso è un film bellissimo ed importantissimo, nel quale vedo tutta l'umanità che nei due patchwork citati non trovavo. La Moore è seriamente splendida.


gparker ha detto...

Beh sono opere più fredde e celebrali ma non meno complesse. Io Non Sono Qui poi è fantastico...


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