Il colossal da 30 milioni di dollari di Renzo Martinelli voluto dalla Lega Nord, finanziato da privati con l'aiuto di Rai Cinema (che lo manderà anche sulle reti nazionali), contenente un cammeo di Umberto Bossi e incentrato sulla ribellione di Alberto da Giussano all'invasore straniero Federico I detto Barbarossa è una cagata pazzesca.
La cosa era abbastanza prevedibile date le molte costrizioni, la matrice eminentemente politica e la volontà di misurarsi con un genere da noi dimenticato da decenni eppure il risultato non manca di stupire in negativo.
Il problema principale che Martinelli non risolve è quello della conciliazione tra storia e mito. L'intento è di fare un racconto mitico nel quale Alberto da Giussano esca fuori come la tipica figura idealista rivoluzionaria, un esempio anche per la modernità e un eroe nel senso cinematografico del termine (il collettore di tutte le istanze positive di normalizzazione della situazione vero la soddisfazione dei giusti), la riuscita invece è quella di un film che ammazza qualsiasi volo epico con dati storici non solo superflui ma anche imboccati a forza allo spettatore attraverso dialoghi implausibili.
Accade che le persone (almeno per la prima metà del film) si chiamino continuamente per nome e cognome in ogni battuta (è già cult la figura del plurinominato Siniscalco Barozzi), che negli scambi di battute si ricordino eventi storici ("Federico cosa faremo?" - "Mi rivolgerò a mio cugino, avido di terre, che già pochi anni fa ebbe modo di conquistare ecc. ecc." oppure "Guardate quella è la nuova sposa, porterà con sè in dote il regno di Borgogna com'è uso tra i francesi così che i domini di Federico possano estendersi fino a ecc. ecc.") e via dicendo. Insomma si esce molto edotti sul contesto storico e su tutti i nomi e cognomi dell'epoca ma poco ammaliati da personaggi che ripetono continuamente se stessi.
Infatti un altro dei problemi è che nonostante i buoni attori messi in campo (più che altro Rutger Hauer e F. Murray Abraham) lo stesso il modo di confermare e reiterare le loro psicologie e i loro caratteri rimane il medesimo lungo tutto il film. E se almeno Hauer e Abraham hanno uno spettro abbastanza ampio di espressioni corrucciate o perfide (a seconda del caso) il protagonista Raz Degan può rendere in una sola maniera l'aria arrabbiata e assetata di libertà che lo contraddistingue per tutto il tempo. Il risultato è una continua ripetizione delle stesse espressioni e delle stesse soluzioni, dei capelli davanti agli occhi, dei ralenti continui e di una furia spesso immotivata.
A mancare probabilmente sono le immagini. Il contrasto tra realismo storico e mito è tutto affidato alle parole con i tragici, implausibili e noiosi risultati descritti e mai alle immagini che invece provengono da un campionario delle più semplici tra Braveheart e Il Signore Degli Anelli, senza però che rispondano ad una logica precisa.
Martinelli non risparmia impennate di Gore come facevano Mel Gibson o Luc Besson nel suo Giovanna D'Arco ma senza che ci sia una visione di mondo corrispondente questo ha poco senso. Detto in altre parole la violenza medievale in Barbarossa non è mai funzionale a qualcosa, non riesce a dirci di più di quel mondo o di quei personaggi o anche di quella storia, riesce solo ad impressionarci e comunque solo ogni tanto.
Da antologia le facili metafore espresse da battute come "Ah! I milanesi stanno proprio lavorando sodo!", "No fermi! Non portateci via i nostri soldi per le tasse richieste da Roma", "Federico guarda Milano è la tua porta per la Sicilia", "Dobbiamo riunire le città in una Lega Lombarda che sia più forte degli stranieri che ci vogliono invadere e così riconquistare la nostra libertà" e tante altre che non ricordo sul momento ma che valgono, se non altro, una risata.
La cosa era abbastanza prevedibile date le molte costrizioni, la matrice eminentemente politica e la volontà di misurarsi con un genere da noi dimenticato da decenni eppure il risultato non manca di stupire in negativo.
Il problema principale che Martinelli non risolve è quello della conciliazione tra storia e mito. L'intento è di fare un racconto mitico nel quale Alberto da Giussano esca fuori come la tipica figura idealista rivoluzionaria, un esempio anche per la modernità e un eroe nel senso cinematografico del termine (il collettore di tutte le istanze positive di normalizzazione della situazione vero la soddisfazione dei giusti), la riuscita invece è quella di un film che ammazza qualsiasi volo epico con dati storici non solo superflui ma anche imboccati a forza allo spettatore attraverso dialoghi implausibili.
Accade che le persone (almeno per la prima metà del film) si chiamino continuamente per nome e cognome in ogni battuta (è già cult la figura del plurinominato Siniscalco Barozzi), che negli scambi di battute si ricordino eventi storici ("Federico cosa faremo?" - "Mi rivolgerò a mio cugino, avido di terre, che già pochi anni fa ebbe modo di conquistare ecc. ecc." oppure "Guardate quella è la nuova sposa, porterà con sè in dote il regno di Borgogna com'è uso tra i francesi così che i domini di Federico possano estendersi fino a ecc. ecc.") e via dicendo. Insomma si esce molto edotti sul contesto storico e su tutti i nomi e cognomi dell'epoca ma poco ammaliati da personaggi che ripetono continuamente se stessi.
Infatti un altro dei problemi è che nonostante i buoni attori messi in campo (più che altro Rutger Hauer e F. Murray Abraham) lo stesso il modo di confermare e reiterare le loro psicologie e i loro caratteri rimane il medesimo lungo tutto il film. E se almeno Hauer e Abraham hanno uno spettro abbastanza ampio di espressioni corrucciate o perfide (a seconda del caso) il protagonista Raz Degan può rendere in una sola maniera l'aria arrabbiata e assetata di libertà che lo contraddistingue per tutto il tempo. Il risultato è una continua ripetizione delle stesse espressioni e delle stesse soluzioni, dei capelli davanti agli occhi, dei ralenti continui e di una furia spesso immotivata.
A mancare probabilmente sono le immagini. Il contrasto tra realismo storico e mito è tutto affidato alle parole con i tragici, implausibili e noiosi risultati descritti e mai alle immagini che invece provengono da un campionario delle più semplici tra Braveheart e Il Signore Degli Anelli, senza però che rispondano ad una logica precisa.
Martinelli non risparmia impennate di Gore come facevano Mel Gibson o Luc Besson nel suo Giovanna D'Arco ma senza che ci sia una visione di mondo corrispondente questo ha poco senso. Detto in altre parole la violenza medievale in Barbarossa non è mai funzionale a qualcosa, non riesce a dirci di più di quel mondo o di quei personaggi o anche di quella storia, riesce solo ad impressionarci e comunque solo ogni tanto.
Da antologia le facili metafore espresse da battute come "Ah! I milanesi stanno proprio lavorando sodo!", "No fermi! Non portateci via i nostri soldi per le tasse richieste da Roma", "Federico guarda Milano è la tua porta per la Sicilia", "Dobbiamo riunire le città in una Lega Lombarda che sia più forte degli stranieri che ci vogliono invadere e così riconquistare la nostra libertà" e tante altre che non ricordo sul momento ma che valgono, se non altro, una risata.
12 commenti:
Il difetto che evidenzi (dialoghi didascalici che ricordano lezioni di storia) potrebbe essere perdonabile in un film dalle ambizioni rosselliniane, rigorose e ascetiche, non certo in una produzione che strizza l'occhio a Mel Gibson e Luc Besson.
Rossellini nella sua fase televisivo-didascalica (che non mi piace per niente) non arrivava a simili vette di idiozia. Perchè ho capito che stiamo facendo una cosa da corso di storia, ma se non altro che sia scorrevole e funzionale.
Cioè in Rossellini se non altro i personaggi si mettevano a discutere delle proprie tesi e così le illustravano mentre i dettagli storici, che sono cose di cui la gente non parla, erano lasciati ai cartelli.
In questo film invece dicono le cose più improbabili: "Federico voglio essere per te una moglie migliore della tua prima con la quale ti congiungesti anni fa e che non seppe portarti buoni consigli tanto da agevolare il trattato ecc. ecc." Cioè quando la gente sembra che legga anche se non legge!
ma alla fine avete proiettato giovannona coscialunga?
gli scivoloni didascalici mi ricordano l'impostazione di alcuni fumetti Bonelliani (Dampyr, Nathan Never, Martin Mystere, ma un pò tutti in generale) in cui in maniera forzosa i protagonisti spesso ricordano avvenimenti passati in un vano tentativo di collegare più storie (mai riuscito in casa Bonelli, se non forse tra alcuni fumetti con numero di albi limitato e definito in partenza). Rimembranze che spesso si concludono con un asterisco*.
*vedi il numero 13 "Dampyr e il topo-cane mannaro"
non ho visto il film, ma se quello che massimo dice è vero, allora vuol dire che il film è scritto malissimo. Gli autori non sono stati in grado di trasmettere in maniera decente allo spettatore le informazioni di cui ha bisogno. Se poi sono uguali ai fumetti (che è un medium DIVERSO dal cinema, e di conseguenza ha un linguaggio diverso), allora mi permetto di dire che qualcuno non è in grado di fare il lavoro dello sceneggiatore.
e oltretutto mi pare che, sempre a proposito di storia, gli errori siano numerosi e pesanti
non so se gli errori ci siano e rilevanti ma c'è chi dice di si.
geimsbond: No,non è stato proiettato ma io per non saper nè leggere nè scrivere la pizza l'avevo portata...
"sono stato frainteso" [citazione].
Il riferimento ai fumetti è solo mio e mi è stato ispirato dalle descrizioni dei dialoghi di questa recensione, nient'altro.
guarda io ho capito perfettamente quello che vuoi dire (anche perchè sono un fumettologo malato), l'hai formulato in una maniera tale da permettermi di poter dire esattamente quello che penso.
ho letto altre recensioni in rete, si lo ammetto parker, sono andato in giro per curiosita'...la piu generosa che ho trovata attacca con "la via per l'inferno e' lastricata di buone intenzioni"...secondo me qui ci sono gli elementi per un cult o stracult...forse un nuovo personaggio di guzzanti...guarda io mi sono incuriosito, capace che uno sguardo lo butto...
uccio
"Accade che le persone (almeno per la prima metà del film) si chiamino continuamente per nome e cognome in ogni battuta"
Come nelle telenovelas argentine fatte dal trio... :D Potevano farlo fare a loro il film.
Ma nella foto di mezzo Degan imita Mario del Monaco?
uccio: secondo me poteva essere un cult se duraa 80 minuti ma più di due ore e mezza fanno si che alla fine non ti diverti nemmeno più perch è ridicolo sempre nella stessa maniera
fabio: Credo si un'ispirazione diretta proprio...
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