Se c'è una cosa apprezzabile di questa nuova vita indipendente di Coppola è come se ne freghi di quelle regole hollywoodiane di culla dello spettatore cui è dovuto sottostare per decenni. Gira storie magari convenzionali ma affrontate con un piglio decisamente arrogante. E se anche Un'Altra Giovinezza non era stato un esordio così felice questo Tetro ha un suo morboso perchè.
Innanzitutto, e viva la faccia, c'è una storia vera con cambi di facciata, molte decisioni da prendere, colpi di scena e scene madri, un racconto propriamente detto che incastri personaggi e situazioni in una serie di eventi che possono o meno rivelarne le tensioni.
Certo tutto quanto è molto diluito in due ore e dieci che sembrano un po' più lunghe di quanto non siano ma la lentezza coppoliana è sopportabile, specie quando è motivata da un passo controllato che si prende la briga di raccontare il quotidiano, l'inutile (che è ovviamente la cosa più utile per costruire i personaggi) e il contorno.
Questo contorno scelto è l'Argentina, trattata con il solito atteggiamento hollywoodiano a metà tra lo stereotipo e il tradizionale. Non è cattiveria, è che per usare le parole di Coppola "ho scelto l'Argentina perchè sono rimasto conquistato dalla sua musica, dai suoi ambienti e dalla sua cucina", non quindi dalla sua realtà. L'Argentina di Coppola è lo stereotipo per turisti, il tango che esce dalle case e le coppie passionali, è la solita teatralità dello scenario che vince sulla scena. Cosa vecchio stampo e, oggi, abbastanza fastidiosa.
Per fortuna l'essenza del racconto si svela nell'ultimo terzo di film, precipitando tra colpi di scena e immagini evocative. Nel tirare le fila del racconto Coppola dà il meglio di sè: la trasfigurazione dell'animale morente che guarda i personaggi (che classico intramontabile!), il colpo d'accetta contro la finestra che mostra il volto di Vincent Gallo tra le crepe, il dialogo con l'ombra, la confessione con la rappresentazione teatrale di sfondo (un realtà/finzione almodovariano) , gli intermezzi musicali annunciati da Scarpette Rosse che ne imitano lo stile ma con la forza della colorazione digitale e via dicendo.
Nel finale Tetro mostra davvero la sua essenza tira le fila di tutto il raccontato rivelando ragionamenti e contraddizioni più complessi delle chitarre degli inizi, riuscendo a mostrare tensioni tra ammirazione, aspirazione e conflitti interiori altrimenti inesprimibili a parole.
Cosa voglia dire fare un lavoro creativo, cercare l'arte nella propria vita e cercare di venire a patti con se stessi attraverso essa, ma anche il rapporto tormentato tra finto e vero e come il finto spesso riveli il vero.
Questo è il vecchio Coppola.
Innanzitutto, e viva la faccia, c'è una storia vera con cambi di facciata, molte decisioni da prendere, colpi di scena e scene madri, un racconto propriamente detto che incastri personaggi e situazioni in una serie di eventi che possono o meno rivelarne le tensioni.
Certo tutto quanto è molto diluito in due ore e dieci che sembrano un po' più lunghe di quanto non siano ma la lentezza coppoliana è sopportabile, specie quando è motivata da un passo controllato che si prende la briga di raccontare il quotidiano, l'inutile (che è ovviamente la cosa più utile per costruire i personaggi) e il contorno.
Questo contorno scelto è l'Argentina, trattata con il solito atteggiamento hollywoodiano a metà tra lo stereotipo e il tradizionale. Non è cattiveria, è che per usare le parole di Coppola "ho scelto l'Argentina perchè sono rimasto conquistato dalla sua musica, dai suoi ambienti e dalla sua cucina", non quindi dalla sua realtà. L'Argentina di Coppola è lo stereotipo per turisti, il tango che esce dalle case e le coppie passionali, è la solita teatralità dello scenario che vince sulla scena. Cosa vecchio stampo e, oggi, abbastanza fastidiosa.
Per fortuna l'essenza del racconto si svela nell'ultimo terzo di film, precipitando tra colpi di scena e immagini evocative. Nel tirare le fila del racconto Coppola dà il meglio di sè: la trasfigurazione dell'animale morente che guarda i personaggi (che classico intramontabile!), il colpo d'accetta contro la finestra che mostra il volto di Vincent Gallo tra le crepe, il dialogo con l'ombra, la confessione con la rappresentazione teatrale di sfondo (un realtà/finzione almodovariano) , gli intermezzi musicali annunciati da Scarpette Rosse che ne imitano lo stile ma con la forza della colorazione digitale e via dicendo.
Nel finale Tetro mostra davvero la sua essenza tira le fila di tutto il raccontato rivelando ragionamenti e contraddizioni più complessi delle chitarre degli inizi, riuscendo a mostrare tensioni tra ammirazione, aspirazione e conflitti interiori altrimenti inesprimibili a parole.
Cosa voglia dire fare un lavoro creativo, cercare l'arte nella propria vita e cercare di venire a patti con se stessi attraverso essa, ma anche il rapporto tormentato tra finto e vero e come il finto spesso riveli il vero.
Questo è il vecchio Coppola.
4 commenti:
sono in brodo di giuggiole: grande cinema virtuosistico, passi pure qualche "ma" :-)
ci sono dei momenti di grande cinema (Gallo che rompe il vetro con l'accetta per attirare l'attenzione) ma anche altri di cinema meno grande come le scenette nel caffè argentino con il maschio latino e la donna che gli tira gli oggetti dalla finestra...
Non l'ho ancora visto, ma mi interessa parecchio...sono felice che Coppola sia tornato quasi quello delle origini, dopo svariati anni un po' bui se ne sentiva la mancanza...
si appunto: quasi!
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