Più secco, più rapido e diretto il terzo film di Narnia salta a piedi pari le lungaggini e le difficoltà del secondo per cercare la sincerità del primo. Non ci riesce, ma nel tentativo trova una formula buona per reiterare le avventure fantasy di Lewis.
Impossibile non riconoscere il merito a Michael Apted che trova il mix e soprattutto a Dante Spinotti, responsabile di una fotografia che trova le tonalità di colori più giuste per un racconto d'avventura esotica.
Al terzo racconto (cinematografico) sul regno di Narnia, le metafore vengono al pettine. Stavolta sono ammessi solo i fratelli minori, per raggiunti limiti di età dei maggiori, e si aggiunge un fastidioso cugino. L'avventura nel mondo fantastico è ancora più esplicitamente un rito di passaggio d'età (al termine i nostalgici del regno Edmund e Lucy avranno voglia di tornare alle loro vite vere) e Aslan è ancora più dichiaratamente Dio ("Esisto anche nel vostro mondo ma ho un altro nome").
Al di là della scelta di quale racconto adattare per lo schermo, la forza del film sembrò però risiedere nelle immagini. L'elemento fin dal titolo è l'acqua e i toni dell'azzurro chiaro dominano anche molti altri momenti (i bagliori delle spade e quelli delle stelle ad esempio). Aumentano i totali e diminuiscono le monotone e ripetitive inquadrature a volo d'uccello inaugurate da Peter Jackson, soprattutto alcuni degli snodi di trama più spettacolari (la rivelazione dell'identità del drago, le apparizioni della strega, la spiaggia finale) trovano un impatto visivo degno di questo nome.
Sebbene manchi ancora quel senso panico e avventuroso del primo film, è indubbio che questo terzo capitolo di Narnia sia quello che riesce meglio a mostrare il fascino visivo di un mondo che i protagonisti dicono sempre di sognare ma che fino ad ora non era mai sembrato davvero suggestivo.
Impossibile non riconoscere il merito a Michael Apted che trova il mix e soprattutto a Dante Spinotti, responsabile di una fotografia che trova le tonalità di colori più giuste per un racconto d'avventura esotica.
Al terzo racconto (cinematografico) sul regno di Narnia, le metafore vengono al pettine. Stavolta sono ammessi solo i fratelli minori, per raggiunti limiti di età dei maggiori, e si aggiunge un fastidioso cugino. L'avventura nel mondo fantastico è ancora più esplicitamente un rito di passaggio d'età (al termine i nostalgici del regno Edmund e Lucy avranno voglia di tornare alle loro vite vere) e Aslan è ancora più dichiaratamente Dio ("Esisto anche nel vostro mondo ma ho un altro nome").
Al di là della scelta di quale racconto adattare per lo schermo, la forza del film sembrò però risiedere nelle immagini. L'elemento fin dal titolo è l'acqua e i toni dell'azzurro chiaro dominano anche molti altri momenti (i bagliori delle spade e quelli delle stelle ad esempio). Aumentano i totali e diminuiscono le monotone e ripetitive inquadrature a volo d'uccello inaugurate da Peter Jackson, soprattutto alcuni degli snodi di trama più spettacolari (la rivelazione dell'identità del drago, le apparizioni della strega, la spiaggia finale) trovano un impatto visivo degno di questo nome.
Sebbene manchi ancora quel senso panico e avventuroso del primo film, è indubbio che questo terzo capitolo di Narnia sia quello che riesce meglio a mostrare il fascino visivo di un mondo che i protagonisti dicono sempre di sognare ma che fino ad ora non era mai sembrato davvero suggestivo.
2 commenti:
E' vero, i primi due film non concedevano molto al colpo d'occhio. Specie il secondo si era buttato troppo sulla miscela realismo-polvere-sangue-armature da alto medioevo.
Vuoi mettere con Babbo Natale?
concordo al 100%, una cosa del genere non dev'essere sporca ma patinata.
Se poi la vuoi fare sporca deve essere In compagnia dei lupi
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