Non è difficile intuire come mai Ang Lee si sia voluto imbarcare nella non semplice impresa di mettere in immagini il romanzo Vita di Pi, almeno per chi ha visto il suo lavoro su Hulk e quello su La tigre e il dragone. Esiste in questo cineasta di Taiwan appassionato di melodrammi, un'insaziabile ricerca di immagini che non siano solo di una bellezza devastante ma anche mai viste, poco convenzionali e totalmente spiazzanti. Anche nel mondo estetizzante del wuxia aveva trovato alcuni dei momenti visivamente più poetici e audaci di sempre (lo scontro sulle cime degli alberi) e pure in quello iperbolico dei fumetti aveva trovato idee di messa in scena impressionanti.
Il risultato questa volta è il primo film in 3D e per larga parte digitale ad avere velleità intellettuali molto spinte, un'opera in cui ad un racconto zoppicante (inizialmente ecumenico e onnicomprensivo con tutte le religioni di ogni orientamento e latitudine fino a comprendere anche gli atei e in chiusura didascalico oltremodo) corrisponde un profluvio di idee visive, che per fortuna riescono a comporre un discorso autonomo staccato dallo spiritualismo moderno e cosmopolita della storia.
E' un discorso che parte dagli animali veri dello zoo, dalle prime inquadrature sui titoli di testa e finisce sui pesci fosforescenti e i tramonti digitali, le isole carnivore a dominante verde e un'idea estetica della bellezza della morte (vista come momento complementare alla vita, non come suo termine) che era molto tempo che non si vedeva.
La storia di Pi, che visse in uno zoo e nel trasferirsi via nave assieme ai suoi animali perse la famiglia in un naufragio tempestoso ma sopravvisse per più di 200 giorni solo nell'oceano con una tigre, è fatta per prestare il fianco a mille simbolismi, ed essa stessa nel finale confessa la propria allegoria. Ma il senso del cinema di Ang Lee sta proprio nel non aver cercato di battere solo la libertà di interpretazione della storia (che comunque è presente) quanto di averne cercata una propria, di aver messo in campo luoghi e immagini (il ponte sotto il quale Pi dice addio alla sua amata con un mare leggermente burrascoso a fare da segno premonitore) che vadano non necessariamente nella direzione del buonismo religioso ma alla ricerca della possibilità di rendere la comunione tra uomo e assoluto attraverso la solitudine e l'astrazione qualcosa di visibile.
Per questo, a prescindere dai propri intenti, forse Vita di Pi è uno dei film più meditativi di sempre.
Nessun commento:
Posta un commento