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7.3.13

Amiche da morire (2013)
di Giorgia Farina

PUBBLICATO SU 
Era da tempo che Fabio Bonifacci non tornava ad uno script degno del proprio nome. L'autore di E allora mambo!, di Amore bugie e calcetto e di Lezioni di cioccolata aveva navigato in progetti più o meno sensati, portando le sue doti su film insalvabili resi appena sufficienti dal proprio senso di profonda decenza.
Con questo film, scritto in coppia con la regista esordiente, torna a scrivere come sa, sfruttando la sua capacità non solo di inventare situazioni divertenti ma anche di orchestrare un racconto che, più in grande, sappia giocare con le regole del cinema e inventare forme diverse per contenuti classici e rassicuranti, attraverso atteggiamenti, movenze e toni della commedia più nobile (quella che utilizza le invenzioni, anche le più minute e puntigliose, per creare un ritmo e un mood divertiti).

Amiche da morire inizia con la Sicilia degli stereotipi del cinema italiano e con tre donne anch'esse macchiette di se stesse: la puttana di paese, la iettatrice, bruttina immaritabile e la principessina locale tanto scema quanto perfettina. Il gusto e il piacere di Bonifacci per la propria sceneggiatura però pare stare tutto nel condurre questi spunti banali verso altri lidi, senza ribaltarli o negarli, e prendendosi tutto il tempo necessario per farlo. 
La puttana non si redimerà (specie non grazie ad un uomo) come sarebbe d'obbligo, la bruttina non riuscirà a maritarsi con un po' di fiducia in sè (nonostante il tentativo) e la scema si rivelerà invece una figura surreale e pericolosissima, in un lento procedere verso l'assurdo.
Il film stesso inoltre non cerca quasi mai la presa in giro dei costumi regionali (nonostante il contesto sembri suggerirlo) sfruttando invece i meccanismi narrativi e comici dell'avidità umana o del cinismo, come volesse essere una commedia spagnola.

Amiche da morire è insomma cinema serio e raffinato, che non cerca di elevare se stesso con i mezzucci del cinema italiano, con le facili metafore, gli attacchi all'acqua di rose al sistema, la trasgressione da tinello o la satira politica trita e dunque innocua, ma che punta sulla forma del racconto più che sul suo contenuto.
In tutto ciò molto del merito va anche a Giorgia Farina, brava non solo a gestire ritmi e tempi ma soprattutto a dirigere 3 attrici impegnate nella parodia di loro stesse e del typecasting che subiscono. Ognuna parte dal proprio personaggio tipico e attraverso la recitazione ne trova la dimensione più impensabile. Sulle tre è però Sabrina Impacciatore ad emergere davvero, la sua Crocetta è un gioiello di recitazione fisica e movimenti imprevedibilmente comici, su un corpo costantemente umiliato dagli abiti.

Che tutto questo, corredato da una locandina in tono, esca a ridosso dell'8 Marzo, è solo l'ultima dimostrazione che siamo dalle parti del cinema pensato meglio.

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