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5.9.13

Still Life (id., 2013)
di Uberto Pasolini

ORIZZONTI
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA

Più che la natura morta, la still life del titolo pare essere proprio la vita ferma, bloccata, incapace di muoversi in avanti, quella arrivata al termine dei morti e quella del protagonista che di lavoro si occupa di indagare le vite dei deceduti senza parenti o nessuno che si occupi di salme e funerale. E' suo compito prima cercare amici o eventuali lontani parenti e poi provvedere in primis ad una funzione e poi ad una degna sepoltura. Come la drammaturgia prevede in questi casi ad occuparsi di queste persone morte in totale solitudine è un uomo solo. 
Quando gli verrà notificato il licenziamento si getterà anima e corpo nell'ultimo clamoroso caso.

E' un film che pare uscire dal cinema nipponico questo del britannico Uberto Pasolini, tutto centrato sull'ordine maniacale del protagonista e il suo lento e pacato modo di relazionarsi agli altri per dare il massimo della dignità ai morti e sbloccare l'empasse che ne impedisce la definitiva sepoltura.
John è un uomo che fa le cose per bene, non affretta nè tratta con sufficienza i casi ma si spende per ognuno dei suoi trapassati che vede solo in fotografia ma di cui studia appartamenti e abitudini.
Il suo ultimo caso riguarda un uomo che viveva nel palazzo di fronte al suo, in un appartamento non troppo diverso dal suo, un ubriacone con un passato pieno di eventi, un tipo diverso da John ma che scatena in lui immediatamente un senso d'identificazione.

E' una storia strana narrata non con il massimo dell'abilità ma di certo recitata con il massimo dell'impegno da parte di Eddie Marsan, bravissimo a giocare su pochi movimenti e sul crinale impossibile tra macchietta e umanità, tra un personaggio che abbia le giuste componenti di ridicolo che il ruolo prevede ma anche una straordinaria umanità soffocata da un atteggiamento austero e compassato.
E' sul suo temperamento drammatico che Still life lavora per trovare il passo migliore alla sua tragedia. Pasolini non fa mai mistero infatti che il suo è un dramma grosso e duro, che non risparmia pugni nello stomaco, in cui la società è uno schifo e maciulla gli onesti (e anche il destino non è da meno).
Si può uscire con le lacrime (ma se fate finta di non vedere proprio l'ultimissima scena è meglio, vi perdete l'unica caduta di stile del film) perchè Pasolini quando picchia sa dove colpire anche se non lascia davvero lividi, è un dolore che passa presto.

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