L'anno scorso l'arrivo di Paolo Ruffini al cinema con un film per la prima volta scritto e diretto da lui (oltre che interpretato) è stata a suo modo una scoperta: c'è un cinema più giovane della media, diretto ad un pubblico giovane, che non ha legami con professionalità e maestranze dei decenni scorsi, realizzato con la medesima sciatteria e banalità di quelli che qualche anno fa erano indicati come i film peggiori possibili, quelli di Natale (in realtà non è mai stato vero, sono sempre esistiti film molto peggiori ma il pubblico non li vede nè li conosce, mentre quelli di Natale erano in bella vista).
Paolo Ruffini è andato a colmare quel vuoto lasciato dall'ormai definitiva separazione non solo di Boldi e De Sica ma soprattutto di Neri Parenti da Filmauro, perchè Fuga di cervelli era stato non solo un film scritto e girato con poco impegno e poca cura di qualsiasi dettaglio ma colmo di un umorismo e di una visione di mondo che credevamo di esserci lasciati alle spalle, nonchè una produzione di ottimo e inaspettato successo.
Scontato dunque l'arrivo di un secondo film di Paolo Ruffini che corregge un po' il tiro rispetto al precedente, asciuga i personaggi (non più un cast di 5/6 protagonisti ma solo lo stesso Ruffini e Frank Matano con l'aiuto di Scintilla) e concentra lo sforzo in una trama più semplice. I due protagonisti sono genitori in attesa di parto delle rispettive mogli, escono per prendere una pizza e vengono coinvolti in una serie di assurdità che gli impediscono di ritornare all'ospedale. L'idea base del film on the road (spostarsi e così entrare in contatto con diverse persone/situazioni senza necessariamente avere un intreccio che obblighi ogni svolta ad un rapporto causa-effetto), nella sua declinazione più semplice. Come è facile immaginare tutto è finalizzato alle gag e quel che accade ha poco senso se non lo si vede come pretesto per mascherare i protagonisti con costumi ridicoli o metterli in condizione di scappare dalla polizia o infine di scambiare una traduttrice per escort.
Tutto molto bello recupera quindi quel modo di rappresentare il maschio (italiano) al cinema come vittima di una donna (sia quella tirannica sia quella eccitante), potenzialmente vittima dell'autorità, vittima del proprio atteggiamento eccessivamente rigoroso e poco "italiano", vittima degli stranieri e vittima (sempre potenziale) dell'omosessualità di qualcun altro. Ogni cosa strana e diversa da sè scatena una gag in cui il protagonista si crede oppure è effettivamente minacciato. È questo il senso nel quale Ruffini riempie la casella lasciata dal cinepanettone. La risata è soggettiva, il buon successo del film lo ha dimostrato, mentre più obiettivo è come le situazioni e le dinamiche sfruttate per scatenare le gag siano quelle del cinema anni '70, '80 e principalmente '90 che più volte Ruffini ha detto di amare molto.
Se si volesse guardare al film con maggiore spirito analitico si potrebbe aggiungere che Paolo Calabresi è una presenza salvifica (in grado anche solo di pronunciare le solite battute stantie in modo da farle funzionare) e che Frank Matano, come già nel film precedente, introduce a sprazzi una comicità più raffinata, meno dipendente da timori e consuetudini ma appoggiata ad un'idea di "scemo comico" che è tutta sua e molto originale. Sono però per l'appunto dettagli, elementi che alla fine si perdono in una messa in scena che è sempre una sorpresa per sciatteria e poco rispetto della coerenza (basterebbe solo la selezione musicale a far capire tutto). In special modo si perdono di fronte alla pretesa finale che il film ha di dire anche qualcosa di sincero e magari di far scendere una lacrima, forse il più sconfortante dei tentativi.
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