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25.5.15

Yakuza Apocalypse (Gokudou Daisensu, 2015)
di Takashi Miike

FESTIVAL DI CANNES
QUINZAINE DES REALISATEURS

PUBBLICATO SU  
L'impressione è che Takashi Miike possa qualsiasi cosa.
Yakuza Apocalypse non ha propriamente una trama, affianca personaggi in un grande scontro che è totalmente privo di motivazioni, eppure è contaminato di così tanto umorismo demenziale da mettere subito in chiaro che siamo qui per divertirci. E il divertimento in effetti non manca.
L'etica anarchica del regista giapponese gli consente di creare una razza di vampiri yakuza a cui fa bene il sangue delle persone normali e male quello degli altri yakuza. In questo mondo esistono anche dei villain senza senso da fumetto, una specie di uomo tartaruga che puzza, un altro vestito da padre pellegrino che gira con una bara in cui nasconde un'arma da fuoco come Django e infine il più temibile e pericoloso di tutti, il più efferato e violento: una tartaruga mascotte da squadra di calcio.

La quantità di ironia, battute, senso del grottesco e invenzioni che su questi presupposti basilari Miike riesce ad intavolare è incredibile. Il regista ha praticamente diviso i personaggi in due squadre per poi farli scontrare in un contesto che somiglia più ai fumetti che ai mondi costruiti dai film. Oltre ai personaggi elencati c'è il protagonista (giovane yakuza idealista, trasformato da un vecchio capo benevolo), un otaku violentissimo interpretato da Yayan Ruhian (il Mad Dog di The Raid: Redemption) e una serie di donne da salvare o trasformare.

In fondo però nulla pare contare niente se non ciò che è utile ad affermare la potenza del momento. Ogni scena vive per il secondo in cui avviene ed è solo blandamente collegata al flusso del racconto (che pure esiste ma è talmente semplice e lineare da far impallidire il vecchio cinema di serie B). Non ci sono priorità  o scene madri, Miike decostruisce le strutture tradizionali per fare un film di gag che però è anche il più classico dei suoi inni alla follia, alla possibilità che anche gli abbinamenti meno sensati risultino in un grande complesso godibile.
Yakuza Apocalypse (già il titolo sembra partorito dai registi romaneschi del cinema poliziottesco italiano anni '60) può essere insostenibile se non ci si avvicina con lo spirito giusto, se non si è disposti ad apprezzare la quantità di idee demenziali e la cura pazzesca con cui il regista giapponese le mette in piedi, in barba ad ogni regola, in barba ad ogni costrizione, ogni struttura predeterminata e ogni convinzione. Miike sempre di più appare come un artista di strada del cinema: con incredibile virtuosismo e perizia tecnica, vive come vuole e fa quello che vuole senza aver bisogno dell'approvazione di nessuno.

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