C'è un'intuizione potente alla base di questo film, ovvero che da un museo si possa partire per parlare della storia e quindi della politica dell'Europa del novecento, che un luogo centrale per una città centrale del proprio continente, possa essere lo snodo di un discorso più ampio se questo contiene l'arte. Il museo è il Louvre e l'evento attorno al quale Sokurov balla con il suo film è la presa da parte dei nazisti di quelle stanze e (forse) di quelle opere. Intorno alla vera storia di cosa successe al Louvre nel periodo dell'occupazione tedesca, chi furono gli attori che lottarono per nascondere le opere d'arte dalle bombe e poi tenerle a Parigi, il regista russo orchestra un film pieno di variazioni, narrato dalla sua stessa voce fuoricampo e pieno di inserti di finzione.
Sokurov abbandona la forma più classica del cinema, quella che egli stesso ha contribuito ad innovare pesantemente negli ultimi anni con un uso incredibile della messa in scena digitale, per aprirsi alle contaminazioni con il falso documentario. Tutto quel che viene detto sul Louvre è vero ma la forma del film è quella dei documentari fasulli. Le immagini giocano, mentono e si divertono mentre l'unica componente importante sono le parole del regista e come si sposino con i filoni marginali del film (la presenza di Napoleone e della Marianna, il capitano di una nave in tempesta che trasporta dentro a grossi container le opere del Louvre e via dicendo).
Il limite di questo film è tutto qui, nel fondarsi sulla parola, sulla pontificazione intorno all'arte. Tanto lo spunto è affascinante quanto la resa è banale e le conclusioni di una semplicità disarmante. Il meglio, già lo sapevamo, Sokurov lo dà con la sua capacità di indagare le immagini (e dei guizzi ci sono quando entrano in gioco le piante originali del Louvre) ma qui di tutto ciò c'è ben poco. Il grosso di Francofonia sono banali opposizioni e metafore dall'insostenibile e pomposa banalità: l'arte viaggia in una nave in tempesta, la dittatura è male, viviamo tempi bui.... Addirittura Sokurov stesso con la sua voce abusa di recentismi, pretende un'impossibile lettura del presente che somiglia al pessimismo dei discorsi meno sofisticati che è possibile sentire ogni giorno.
Difficile davvero accettare che dietro un'opera così sciatta e piegata su uno sconfortante baronismo intellettuale ci sia la stessa vivace intelligenza visiva che ha dato vita a Madre e figlio, Faust o addirittura al vicinissmo Arca russa.
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