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25.11.16

Fixeur (id., 2016)
di Adrian Sitaru

FESTA MOBILE
TORINO FILM FESTIVAL
Non è un film di giornalismo o di caccia Fixeur nonostante tutto, nonostante la propria trama e l’oggetto della ricerca del protagonista, per l’appunto il “fixeur” del titolo, cioè uno che nonostante sia giornalista quando ha per le mani un colpo grosso, per aumentare il guadagno (economico e personale), preferisce fare da intermediario per un altro giornalista più grande nella caccia ad una ragazza (rumena come lui) che è stata vittima della tratta delle minorenni ma ora ha denunciato chi l’aveva rapita e sfruttata. Cosa sia questo film lo si scopre verso la fine, senza colpi di scena o twist (dettaglio che dimostra una padronanza incredibile della sceneggiatura e delle teste del pubblico) ma bensì proprio quando l’agognatissima intervista sta per essere realizzata. Ed è un colpo.

Sitaru mette insieme vita privata e professionale di questo giornalista-fixeur, il figlio piccolo nuotatore in erba che lui spinge a dare il meglio, ad eccellere, ad arrivare primo alle gare e non ad accontentarsi del secondo posto, e poi la lotta che con uguale tenacia porta avanti per riuscire ad intervistare una ragazza che darebbe un senso al servizio sulla tratta dei minori. Nonostante ci sia in sottofondo la sensazione che forse l’insistenza è eccessiva, quando finalmente si troverà di fronte all’oggetto del proprio desiderio (professionale) capirà tutto, anche cosa stia accadendo nella sua vita privata. E l’uso di un espediente impressionante tipico da cinema commerciale, la presa di coscienza improvvisa in un momento puntuale, rende ancora più serio il film.

Non è infatti la scoperta in sé il punto, ma il ragionamento. Non è la conclusione o la morale (parola odiosissima riferita ad un film) quanto la dialettica messa in campo e la risposta così difficile da dare. Fixeur ammira il ragionamento e più che un film di giornalismo è un film di dialettica, che pone lo spettatore di fronte ad un quesito non semplice (viste le buone intenzioni di tutti), con il più azzeccato e pregnante dei paragoni che emerge da una scena e non è spiattellato a parole, quello cioè tra prostituzione reale e prostituzione mediatica, essere costretti a fare sesso ed essere costretti ad essere ripresi. Non era scontato portare tutti a questa conclusione, soprattutto non era scontato riuscire a rendere le proporzioni di un’equivalenza che per tanti non può esistere con una scena che porta allo zenith tutto ciò che il film ha costruito. Ma Fixeur lo fa.

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