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10.4.17

The Startup (2017)
di Alessandro D'Alatri

Non è per nulla frequente che un film italiano decida di raccontare una storia di successo, per giunta una vera. Quel terreno che di solito è lasciato alla serialità da tv generalista raramente è battuto dal cinema, che invece preferisce le storie di fallimento o ancora quelle di successo nel fallimento, quando cioè non aver trionfato è una fortuna o una pratica che nobilita. Per questo suona così strano un film come The Startup, che tra alti e bassi fa la cronaca (necessariamente di parte e molto a tesi) di cosa sia accaduto a Matteo Achilli quando 5 anni fa ebbe l’idea di fondare un social network che consentisse agli utenti di trovare lavoro.

Il problema del film di D’Alatri sta però tutto nell’aderire maniacalmente al punto di vista del protagonista, tanto da fare propria la chiave di lettura del marketing di Egomnia (così si chiama il social network), ovvero la tecnologia in grado di mettere fine alle raccomandazioni. L’idea che viene ad un ragazzo romano nell’estate della maturità prima di iscriversi all’università a Milano, è infatti di far fare ad un algoritmo il lavoro di stabilire il merito. Ogni utente inserisce esperienze, formazione, campi di specializzazione e via dicendo e l’algoritmo gli assegna un punteggio. In questo modo le aziende hanno un bacino da cui pescare non solo diviso per competenze ma anche messo in graduatoria di merito effettivo. Da quest’idea al sogno della fine delle raccomandazione esiste uno spazio che solo il marketing può legittimamente colmare, che invece il film si inserisca in questa narrazione testimonia solo la triste assenza di qualsiasi altra chiave di lettura per la storia.
Del resto anche l'Università Bocconi sembra aver coprodotto il film (non è così) per quanto viene magnificata.

Peccato perché in realtà sembra che The Startup regolarmente manchi l’appuntamento con la dimensione fisica dei personaggi che ricorre continuamente senza mai essere affrontata davvero. In un film in cui si parla di tecnologia immateriale, codice, siti, collegamenti e algoritmi, i protagonisti sono un ragazzo e una ragazzo caratterizzati dai loro fisici (lui nuotatore a livello agonistico, lei ballerina ad un passo dal professionismo). Li vediamo spesso nell’atto di esprimersi fisicamente ma tutto ciò ha pochissima economia nella storia e, ancora più grave, nel film sembra che qualsiasi contatto sia proibito. Nonostante siano presenti storie di amori e amanti non vediamo nemmeno un bacio (l’unico momento in cui sembra possa arrivare viene coperto da una sfocatura su del fogliame come fossimo in un film degli anni ‘40). È un rifiuto fortissimo che stona molto invece con le caratteristiche passionali di una trama di perdizione.

Matteo Achilli (quello vero) è una figura molto controversa, come controversa è la storia di Egomnia. The Startup sembra esserne a conoscenza e verso la fine quasi accettare di non essere per forza un’agiografia ma una visione complessa degli eventi, quasi dando anche l’altra campana. Purtroppo però i cartelli finali che spiegano cosa è poi successo ai protagonisti fugano ogni dubbio sull’appartenenza del film e lo riportano nell’alveo dell’esaltazione.
Quell’impresa impossibile di raccontare una storia contemporaneamente dalla parte del protagonista (il vero Matteo Achilli ha totalmente avallato il progetto), in linea con gli slogan del marketing dell’azienda e infine anche capace di dire qualcosa non è riuscita. Specie con un livello di recitazione così basso, in cui nessuno degli attori più giovani riesce a dare una personalità unica al proprio personaggio ma sembra generico quanto una comparsa. Solo Matilde Gioli, sempre più interessante come interprete, ha la forza di scolpire dal niente una figura umana piena di personalità, interesse e appeal. Ad un certo punto si desidera seguire la sua di storia più di quella di Matteo Achilli.

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