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1.9.18

Sulla Mia Pelle (2018)
di Alessio Cremonini

Non ci sono altri modi per dirlo: un film come Sulla Mia Pelle era difficilissimo da fare.
Difficilissimo perché il caso Cucchi ha mobilitato l’opinione pubblica, perché la parte da cui proviene il film è molto chiara (la famiglia Cucchi), perché la storia del cinema ci insegna che quando un simile caso è raccontato a poco dal suo svolgimento difficilmente esce un buon film per via di un eccesso di desiderio di fare al cinema la giustizia che non è stata fatta in tribunale.
Invece no, Sulla Mia Pelle è un resoconto essenziale dei fatti dotato della dote migliore che un film del genere possa avere: è imparziale con i fatti e i dialoghi, presi da testimonianze e atti processuali, ma determinato a dare una visione chiara di mondo con le immagini e la recitazione.

Alessio Cremonini effettivamente si è mosso con cura e ha tenuto bassissima l’enfasi in una storia in cui questa poteva scappare letteralmente da ogni scena, non insiste su nulla di morboso e tiene così sommessi i sentimenti da creare un mondo di gelo che esplode da solo, quasi senza l’aiuto del film, nelle ultime scene. L’indignazione, che è la cifra che caratterizza il racconto mediatico del caso Cucchi, arrivare al pubblico attraverso un percorso inusuale che nessuno poteva prevedere, così che quando si presenta (in un finale anch’esso molto misurato) invade lo spettatore come una marea a lungo contenuta da una diga che non c’è più, e non come una semplice secchiata d’acqua.

In questo almeno la metà del merito va ad Alessandro Borghi. La storia di Cucchi è la storia del suo corpo ed è evidente quanto lavoro sia andato nel diventare qualcuno come lui per raccontare ciò che le parole non dicono mai. L’atteggiamento del protagonista di questa storia può facilmente risultare illogico (rifiuta di dire la verità, rifiuta le cure, rifiuta di mangiare) e non viene mai detto a parole perché sembri cercare la morte e non voglia salvarsi. Sta allora proprio a Borghi fare gli straordinari necessari a rendere Sulla Mia Pelle così penetrante. Lui tramite la parlata, le espressioni e la maniera in cui rifiuta un aiuto che sembra invece chiedere con gli occhi, spiega le paure, le irrazionalità, le fobie e l’incapacità di decidere per il proprio bene che danno senso al personaggio, senza mai lasciare che lo spettatore imputi al protagonista le cause della propria sventura.

Si tratta solo di uno dei molti motivi che rendono Sulla Mia Pelle così equilibrato. Questo film che non sceglie mai la strada facile per arrivare dove sappiamo arriverà, non racconta come sarebbe stato facile degli esseri umani cattivi, non assegna torti e ragioni, colpe o lodi ma dipinge un mondo nel complesso, qualcosa di superiore ai singoli medici, singoli secondini, paramedici, infermiere o avvocati, un mondo a tratti anche disponibile e volenteroso ma nel complesso cinico e gelido, così noncurante da non avercela mai con Stefano Cucchi in quanto tale, ma con lui in quanto accusato, carcerato o anche solo ammanettato.
Quella di Sulla Mia Pelle non è insomma solo la storia del caso Cucchi, ma è una storia più grande che usa il caso come pretesto per mettere in scena un mondo in cui la giustizia, la medicina e la giurisprudenza sono solo un lavoro, esercitato con una tale anestetizzata freddezza che l’esito finale pare all’ordine del giorno.

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