È davvero davvero raro che un lungometraggio animato europeo che adatta un racconto classico dei primi del novecento trovi la maniera di conciliare la fedeltà alla fonte, mostrando di aver compreso quale sia il segreto dell’immortalità di quella storia, e le esigenze narrative del cinema contemporaneo, mostrando di conoscere così bene i meccanismi della messa in scena da saper tradurre quel segreto in audiovisivo. Zanna Bianca, per ampi tratti, ci riesce. E come se volesse contraddire quelle che è una delle vulgate più note del cinema, riesce a farlo con la voce fuori campo.
Nonostante gran parte del film si trovi a usare la voce narrante di Toni Servillo (per l’edizione italiana) per raccontare quel che l’animazione tradizionale o il cinema con animali tradizionale, hanno raccontato per decenni senza narratore, lo stesso questa non è pedante o smielata, non raddoppia mai quel che già vediamo né lo sostituisce, né un complemento impeccabile. Addirittura il film peggiora quando Zanna Bianca incontra gli umani e la voce narrante scompare.
Caratterizzata da un passo letterario marcato questa voce pronuncia battute scritte dagli sceneggiatori Serge Frydman, Philippe Lioret e Dominique Monfery a partire dai passaggi di Jack London più efficaci, montandoli sulle immagini giuste e assemblandoli con un ritmo e una modulazione che, in piccolo e per sineddoche, riescono a rendere le qualità migliori di quella scrittura
La storia è quella del resto: un lupo con sangue di cane nel Canada di fine ‘800 vive la prima parte della sua vita con la madre, poi a servizio degli indiani, poi prigioniero e costretto a battersi, poi con una famiglia benevolente e infine di nuovo nella natura, passando tutti gli stadi della brutalità del vivere.
Che nel film si ritrovi tutta la qualità virile di Jack London è ciò che lo rende diverso da ogni altro adattamento. Quello stile asciutto e dai pochi fronzoli, capace in ogni immagine di raccontare quanto poco ci sia da discutere con la natura, quanto gli eventi di cui i suoi personaggi sono testimoni seguano un equilibrio che preeesiste tutto e che regola ogni azione degli uomini come degli animali, è il traguardo che più volte viene tagliato.
Attraverso le peripezie dell’animale protagonista, viste più che altro attraverso gli occhi dei diversi padroni (in questo allontanandosi dal romanzo), Zanna Bianca, il film, riesce a raccontare di cosa significhi far parte del mondo degli esseri viventi, cosa implichi essere soggetti alle sue regole e vittime delle sue ingiustizie, tenuti a combattere per sentirsi vivi.
Ancora meglio riesce a farlo con un’animazione in computer grafica che imita quella in 2D, in maniera non diversa da quanto fanno molti videogiochi indipendenti, riuscendo a creare molto con molto poco, senza che questo sia evidente, anzi puntando su un tratto quasi pittorico di cui beneficiano gli indispensabili scenari (e ne fanno un po’ le spese i volti). Come se London avesse incontrato il Sidney Pollack di Corvo Rosso Non Avrai Il Mio Scalpo, questo Zanna Bianca sembra conoscere le armi migliori del cinema e avere voglia di usarle.
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