C’è un equivoco alla base di questo sequel/reboot di Predator (non è facile stabilire se gli eventi dell’originale esistano nell’universo del film o meno): non si tratta di Predator.
Nonostante ci siano gli alieni con le treccine, la caccia agli umani e anche qualche scontro nelle foreste questo di Shane Black è un film che non ha punti in comune con quello di John McTiernan. In un caso si raccontava la storia di un essere umano in lotta per la sopravvivenza il quale, per non morire, regrediva fino al livello primitivo, perdendo i connotati di tecnologia e modernità con i quali si era presentato e fondendosi con la natura che lo circondava fino ad un unico grande urlo preistorico, era insomma la storia del nostro retaggio ancestrale nel corpo perfetto per mostrarla, quello di Schwarzenegger; in questo caso invece si racconta la storia di un gruppo di militari che tenta di sventare una possibile invasione aliena. Gli alieni in questione sono i medesimi ma i film non hanno nemmeno un punto in comune.
Chiarito questo il Predator di Shane Black è un gran film d’azione classico che sembra arrivarci da lontano, da un’era lontana, dagli anni ‘90 almeno ma con gioia e grande abilità. Una volta tanto si può dire che è un film vecchio stampo con il sorriso, applaudendolo e non condannandolo per questo.
Già la prima scena d’azione mostra quanto sia ben scritto. Anche se non ci sono molti dialoghi è proprio la scrittura dell’azione, le dinamiche degli eventi, come i personaggi capiscano cosa accade e quindi come lo capiamo noi a dimostrare una capacità di scrivere l’azione non è comune. Il resto del film poi lo confermerà e animerà la sceneggiatura dei dialoghi di cui è capace Shane Black, con una banda di militari reietti perché dichiarati infermi mentali (semplicemente pazzi), invasati all’idea di fare qualcosa di buono nella vita e capeggiati da uno sano, il protagonista con famiglia a carico.
Questo è l’elemento di fascino principale di tutto, la banda di matti che autorizza Black a dare fondo alla sua passione per i dialoghi (ce ne sono di fantastici che urlano “SHANE BLACK” ad ogni virgola, come quello su quanto sia sbagliato il nome “predator” per quegli alieni). Tutto è innestato su una trama canonica oltre ogni dire: un bambino recupera le vestigia di uno degli alieni mentre altri alieni stanno venendo a recuperarle, il padre del bambino è uno dei militari in questione, questi tre gruppi (alieni, militari e bambino) si incrociano, rincorrono e combattono per tutto il tempo fino allo scontro finale.
Come se fosse un dovere Black cita l’originale in più punti con un’intelligenza che non appartiene di solito alle citazioni (verrà gridato “Get To The Chopper!” ma sono moto e non un elicottero) e cita se stesso (non c’è il Natale ma Halloween che meglio si adatta ad un nemico con una maschera). Quello che però fa la differenza è come il film recuperi, e bene, lo score originale, riutilizzandolo in modi che il cinema di oggi non usa più fare. La colonna sonora qui è sfruttata in maniere quasi spielberghiane, con una profondità e un protagonismo del tema principale che appartengono davvero ad un’altra era e contribuiscono al senso demodè con stile di tutta l’operazione.
Eppure il meglio Predator lo dà nel rapporto tra questo gruppo di uomini potenti e matti, addestrati, capaci e illogici come fossero tutti dei Murdock dell’A-Team, e l’unica donna finita tra di loro, una scienziata dal carattere combattivo interpretata benissimo da Olivia Munn. Lei sembra aver trovato l’equilibrio perfetto per il suo personaggio tra goffagine e abilità, tra non essere un militare ma avere la tigna per comportarsi come loro. È l’azzardo più riuscito di tutti, creare un personaggio aggiunto, in teoria spurio per il tipo di film in questione, che invece si rivela il più interessante e quello con le scene d’azione migliori.
Non sarà un vero remake di Predator questo ma dopo averlo visto viene da pensare che probabilmente sia il miglior Predator possibile oggi.
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