È difficile capire che fare effettivamente di questo spin-off di Jesus. Si tratta palesemente di qualcosa molto più in linea con la filmografia di John Turturro da regista che con quella dei fratelli Coen e, benché il personaggio quello sia e benché sia abbastanza coerente con i pochi secondi con i quali è diventato famoso in Il Grande Lebowski, è anche evidente che tutto il mondo intorno a lui è diverso. Come un buffone quando viene piazzato in un altro contesto cambia e diventa altro, anche Jesus Quintana senza il mondo dei Coen intorno a sé è un altro e il film pure.
Quell’universo grottesco, a tratti demenziale ma anche caotico e imprevedibile, in cui l’umorismo ha una patina di paura data proprio dal fatto che sembrano non esistere regole logiche, Turturro l’ha rimpiazzato con quello anni ‘70 di I Santissimi, film di Bertrand Blier di cui questo è l’esplicito remake (il titolo di lavorazione, Going Places, è lo stesso che quel film aveva in inglese). E non poteva esserci nulla di più diverso. Il mondo di Blier è fatto di furtarelli, piccole furberie allegre di un gruppo di marginali che vivono di sesso e piacere contro gli inquadramenti borghesi e le regole della società. È un film itinerante in cui i caratteri individuali non contano molto, contano le azioni. Esattamente il contrario dei Coen, in cui le azioni sono così confuse, intrecciate e contraddittorie da non contare tanto, mentre le singole caratterizzazioni sono fondamentali.
Il film è noiosissimo come del resto lo era anche l’originale (un caso clamoroso di remake all’altezza della bruttezza del film da cui è tratto), e l’unica cosa che pare valere qualcosa è l’inizio, nel quale c’è il segreto del Turturro regista. La prima scena mostra l’uscita di galera di Jesus Quintana ed è fondata sulla sua camminata. La sua postura è il protagonista della scena, ci dice tutto quello che c’è da sapere sul personaggio, è un atto di perfetta mimesi tra attore e regista, mostra cioè come sia possibile per un attore-regista lavorare su se stesso e il proprio corpo come se fosse quello di un altro. Da sempre Turturro dimostra di avere una capacità di inquadrare se stesso che tradisce una conoscenza pazzesca del proprio corpo una volta ripreso.
Sa che quello è un momento da riprendere a figura intera, montaggio lasco e musica grottesca (è suonata direttamente dagli altri carcerati, davvero come avrebbero potuto scriverlo i Coen).
La camminata di Jesus è il momento in cui tutto poteva forse andare in un’altra direzione, l’illusione che il film che sta iniziando sappia perfettamente cosa debba essere e abbia le capacità di esserlo. Purtroppo già dalla scena successiva accadrà l’esatto contrario.
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