Questa trilogia è la trilogia della morte. Non tanto per la quantità di decessi in ognuno dei tre film, ma perché ognuno di questi decessi suona come l’addio di un pezzo di storia ed è vissuto con commozione sofferta e grande enfasi. È la trilogia della fine di un mondo, quella che chiude i conti con il passato e manda in pensione un’intera mitologia per ricominciare da zero. Questo è forse l’elemento più forte di questi film che possono dirsi riusciti solo a fasi alterne (Il Risveglio della Forza è fortissimo, Gli Ultimi Jedi confuso e noioso, L’Ascesa di Skywalker un incrocio tra quei due).
J. J. Abrams torna in sella ma non ripete l’exploit di Episodio VII, qui anzi è irriconoscibile, non si sente la sua mano se non per il passo che imprime con il montaggio, è un mestierante con il compito chiudere tutte le perdite e sanare il bilancio. E lo fa. Con una difficoltà estrema e tantissime forzature, eventi sbrigativi e addirittura grosse premesse introdotte off screen e annunciate nelle scritte iniziali. Ma lo fa. Ci sono love story improvvisate, ci sono i consueti momenti di tentennamento tra lato oscuro e forza che vengono dati molto per scontati anche se non erano stati introdotti negli altri film e un villain che viene scoperto qui e in realtà (ci viene detto) tirava le fila di tutto dall’inizio. L’impressione di una grossa raddrizzata è forte e chiara.
È insomma un altro film e se non fosse per il passato di Rey e Kylo Ren pare ricominciare da zero, facendo scarso uso di quel che è stato costruito nei due precedenti, cosa che ovviamente uccide l’hype e la percezione di una grande saga. Ma forse non è quello che interessa.
Per la prima volta Guerre Stellari sembra non voler avere la sua personalità ma prenderla da altre saghe. C’è molto del Signore Degli Anelli sia nelle location che in tante inquadrature con elicottero/drone, nella maniera in cui vengono incastrati personaggi e paesaggi. Ma c’è molto di tanti altri franchise nei sentimenti generici e alla buona che vengono messi sul piatto. Ciò che è in ballo e ciò che viene negoziato qui sono i consueti valori. Non più quell’animismo della forza o quel senso di predestinazione familiare da combattere ma unità, solidarietà, famiglia (nel senso politico e allargato) ecc. ecc. Come Avengers o come Fast & Furious. Conta solo la tradizione e il suo rispetto (specie nello scontro finale) contano i grandi valori universali classici e non qualcosa di personale e controcorrente.
All’opposto della trilogia originale qui, di nuovo, la parte migliore sono le scenografie e gli ambienti che parlano di un mondo allo sfascio, che portano con sé i rottami delle altre trilogie e che sono gli unici custodi della tradizione a rimanere in piedi a ricordare cosa è stato. Il resto, come detto, lentamente si spegne tra le lacrime generali inquadrate con lenti carrelli verso volti che guardano oltre (sempre la stessa soluzione).
Anche gli attori non hanno più la tigna dei primi film. Adam Driver aveva il personaggio migliore, era instradato sul binario migliore e gli dava una fragilità mista a forza bellissime. Di tutto questo non c’è più molto. John Boyega era una carta nuova, non il nuovo Han Solo (quello è semmai Oscar Isaac ma con una fatica che fa venire il fiatone al pubblico) ma qualcosa di originale e diventa invece qualcosa di impersonale, una spalla. Daisy Ridley infine è sempre uguale e non è che sia un merito.
Abrams sembra davvero aver tirato i remi in barca e aver rivisto le ambizioni. Non fa più quel bellissimo uso creativo di sound design e score, non disegna più sequenze d’azione originali, non vuole più lasciare un segno, vuole solo chiudere e passare possibilmente ad altro, vuole confezionare qualcosa di ordinato, possibilmente coerente e soddisfacente. Alla fine ci riesce, L’ascesa di Skywalker è un film grande e grosso come deve essere, dà tutte le risposte che servono e chiude a dovere la storia, senza scadere nel ridicolo (cosa facilissima in Guerre Stellari) e senza annoiare. Ma non è un film memorabile mai né contiene scene memorabili.
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