Occorre dirlo subito, Nichetti ha l'indubbio merito di tentare di fare un cinema diverso, un cinema che in Italia non si fa mai, cioè quello che riflette apertamente su se stesso, anche dal punto di vista della messa in scena (solitamente lo si chiama metacinema) e che mostra apertamente i dispositivi della propria messa in scena. Ladri di Saponette tenta un discorso metafilmico appunto sul tema della fruizione del cinema in televisione, non soffermandosi alla banale e sterile critica alle interruzioni pubblicitarie (che è solo la superficie dell'analisi), ma cercando di andare più a fondo sulle conseguenze di un film fruito in casa, rispetto ad un film fruito al cinema. Ed ecco che un film neorealista che si contamina con variazioni irreali provenienti dalla realtà (Nichetti-regista del film, viene risucchiato nel film e tenta di farlo andare avanti normalmente, mentre i personaggi delle pubblicità, anch'essi risucchiati dentro, ne sconvolgono la trama), viene fruito da una famiglia senza che nessuno si faccia domande, il padre legge il giornale, il figlio prima è intento ad altro poi si addormenta e la madre distratta alla fine si commuove giusto per la scena del bacio. Intanto negli studi televisivi si consuma una cinefilia che è fine a se stessa sempre più lontana dal pubblico.
Queste con tutta probabilità le intenzioni dell'autore (ma c'è anche dell'altro), che si concretizzano all'insegna del citazionismo più sfrenato, come al solito Nichetti chaplineggia e gioca con la sua figura clownesca, mentre le citazioni neorealistiche sono d'obbligo e le parodie delle pubblicità non sono grottesche come quelle di Fellini in Ginger E Fred.
Però già verso metà il film sembra arenarsi, continuando a riproporre sempre le medesime problematiche, non uscendo quindi da quell'empasse che subisce la trama, e alla fine non si risolve, lasciando però pochi interrogativi e molta insoddisfazione.
Queste con tutta probabilità le intenzioni dell'autore (ma c'è anche dell'altro), che si concretizzano all'insegna del citazionismo più sfrenato, come al solito Nichetti chaplineggia e gioca con la sua figura clownesca, mentre le citazioni neorealistiche sono d'obbligo e le parodie delle pubblicità non sono grottesche come quelle di Fellini in Ginger E Fred.
Però già verso metà il film sembra arenarsi, continuando a riproporre sempre le medesime problematiche, non uscendo quindi da quell'empasse che subisce la trama, e alla fine non si risolve, lasciando però pochi interrogativi e molta insoddisfazione.
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