1959, anno emblematico, quasi tutti i critici dei Cahiers du Cinema esordiscono al cinema (Chabrol l'aveva fatto l'anno prima con A Doppia Mandata e Rivette lo farà l'anno dopo con Paris Nous Appartient) e così anche per Eric Rohmer che firma questo Il Segno Del Leone, opera pienamente Nouvelle Vague. Riprese in esterni, trama e personaggi di forte attualità, un uso finalizzato alla trama della modernità e quindi della città, niente luci artificiali e suono in presa diretta, ma anche di più si respira quell'aria di Nouvelle Vague nel modo in cui gli attori sono diretti e ripresi, il contatto fra i corpi (vedere l'immagine centrale come esempio).
La storia anche non è male anche se stenta molto ad ingranare nella prima parte.
Il Segno Del Leone parla della discesa e rinascita di un uomo a causa di eventi indipendenti dalla sua volontà a cui l'autore sembra dare una motivazione astrologica (non solo con il titolo ma anche con elementi nel film), ma che comunque poco importa. L'importante è il progressivo diventare barbone, derelitto e individuo schifato dalla comunità salvo poi salvarsi grazie ad un'improvvisa eredità (la stessa che era all'origine della trasformazione in barbone).
Quasi tutta la parte dinamica del film (la seconda) è occupata dalla lenta ed inesorabile descrizione del divenire barbone, del perdersi nei meandri si un'assolata parigi estiva. E' evidente come l'interesse del regista sia nei particolari, nelle piccole cose che portano un uomo alla disperazione e quasi all'insania.
Il merito di Rhomer è sicuramente quello di essere riuscito a creare un clima melodrammatico classico in un contesto modernissimo, tanto che alla fine il deus ex machina che consente di riconoscere il barbone per chi è in realtà è plausibilissimo e anzi anche poetico nonostante la sua forzatezza.
La storia anche non è male anche se stenta molto ad ingranare nella prima parte.
Il Segno Del Leone parla della discesa e rinascita di un uomo a causa di eventi indipendenti dalla sua volontà a cui l'autore sembra dare una motivazione astrologica (non solo con il titolo ma anche con elementi nel film), ma che comunque poco importa. L'importante è il progressivo diventare barbone, derelitto e individuo schifato dalla comunità salvo poi salvarsi grazie ad un'improvvisa eredità (la stessa che era all'origine della trasformazione in barbone).
Quasi tutta la parte dinamica del film (la seconda) è occupata dalla lenta ed inesorabile descrizione del divenire barbone, del perdersi nei meandri si un'assolata parigi estiva. E' evidente come l'interesse del regista sia nei particolari, nelle piccole cose che portano un uomo alla disperazione e quasi all'insania.
Il merito di Rhomer è sicuramente quello di essere riuscito a creare un clima melodrammatico classico in un contesto modernissimo, tanto che alla fine il deus ex machina che consente di riconoscere il barbone per chi è in realtà è plausibilissimo e anzi anche poetico nonostante la sua forzatezza.
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