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4.9.07

4 Mesi, 3 Settimane e 2 Giorni (4 luni, 3 saptamini si 2 zile, 2007)
di Cristian Mungiu


Con fare assolutamente semidocumentaristico Mungiu decide di seguire il travaglio di due ragazze in un tempo che è poco meno di una giornata. Il travaglio è dovuto dal fatto che una delle due deve abortire clandestinamente, ha già preso accordi e deve unicamente presentarsi e sottostare alla procedura, mentre l'altra, la compagna di stanza e vera protagonista, le dovrà stare accanto e sobbarcarsi tutte le rogne peggiori per l'incapacità organizzativa e l'inettitudine della prima.
Questa in pratica la trama: un giorno nella vita dell'amica di una ragazza che deve abortire. Il viaggio della protagonista (spesso e volentieri in movimento a piedi nelle strade della periferia (o almeno spero sia periferia!) di Bucarest) è un continuo spostarsi tra doveri (aiutare l'amica, incontrare persone e presenziare al compleanno della madre del ragazzo) in un universo che ancora una volta (per il cinema autoriale da festival europeo) non è troppo dissimile a quello del cinema italiano della liberazione, cioè un mondo in cui si è completamente soli, nel quale non si può fare affidamento sugli altri esseri umani (che anzi non fanno che creare difficoltà) e nel quale lo stato e i suoi esponenti (commessi, autorità, stato, controlli sull'autobus, burocrazia...) sono, nella miglior ipotesi, completamente assenti. Un modo di mettere in scena una storia che favorisce l'emergere dello scenario, del contesto e del rapporto particolare che il regista vuole instaurare tra uomo che paesaggio.

Lo stile è appunto quel semidocumentarismo moderno fatto di messa in scena minimalista, molti esterni e protagonista sempre inquadrato che i fratelli Dardenne hanno mutuato dai dettami della Nouvelle Vague e canonizzato per l'era moderna con il successo di Rosetta. Così anche in 4 Mesi, 3 Settimane e 2 Giorni la trama ha lunghi periodi di stasi e momenti di improvvisa accelerazione emotiva e di intreccio, ma senza la carica emotiva, quasi melodrammatica che si trova nei migliori exploit di questo tipo di cinema.

A fronte di molte cose molto convincenti: dalla bellissima e lunga sequenza della cena con i parenti del ragazzo (veramente magistrale) all'altra cena, quella mesta del finale con tanto di sguardo in camera (foto centrale), fino anche al viaggio della protagonista nella notte per compiere il suo crimine, c'è poi un sostanziale riciclo di un modo di fare cinema che ormai è diventato il canone dell'autorialismo all'europea (all'inizio c'è anche un'ostentata camera a mano), grazie anche ai premi che continua a vincere, e che mi ha un po' stufato.
Insomma mi sembra anche ora di andare avanti...

9 commenti:

Luciano ha detto...

La tua è la prima recensione non del tutto positiva (tra quelle che ho letto)sul film. Quindi ritieni che via sia ormai un "cliché autoriale" nel cinema europeo. Non ho (purtroppo) ancora visto il film, ma mi trovo sostanzialmente d'accordo con te.
(Forse non mi conosci, ma mi pare una volta di avere commentato un tuo post).
A presto.


gparker ha detto...

Io credo si instaurino sempre clichè autoriali. Quando qualcuno compie un passo deciso in avanti nell'evoluzione del linguaggio con opere belle e importanti, spesso batte una strada che viene seguita, nel senso che genera degli emuli che anche se alle volte non si traducono in un movimento (causa la mancanza di motivazioni programmatiche) possono sfociare in clichè.
Percui si viene a creare un modo di fare film di un certo tipo (perchè vale pure per il cinema commerciale) che si ripete fino alla prossima evoluzione.

Ecco io credo sarebbe ora di andare avanti.


Luciano ha detto...

Andare avanti. Sono d'accordo, bisogna andare avanti. Ma (questa che segue, credimi, non è una domanda retorica a costo di passare da stupido) poiché siamo nel postmoderno, nell'epoca in cui si può solo riciclare, quale potrebbe essere il modo di andare avanti? Rimanendo nella fabbrica del riclico? Oppure è possibile facendolo tornando al "cinema moderno"?. Perché, in fondo, non è che in generale vi siano (come hai giustamente detto) motivazioni programmatiche. Dogma 95 forse è stato (ma lo è stato?) un movimento con un programma da seguire (o contraddire). Ma dopo? Non preoccuparti, non voglio aprire un dibattito, ma solo confessarti i miei dubbi e miei timori.
A presto.


gparker ha detto...

Nel postmoderno ci siamo da parecchiotto e ad ogni modo non è detto che questa sia un'imposizione a cui non ci si può ribellare.
Non c'è nè da rimanere nella fabbrica del riciclo nè da tornare a qualcosa, ma semplicemente creare qualcosa di nuovo.
Cosa sia chiaramente non lo so, altrimenti non sarebbe una vera novità.


Anonimo ha detto...

Ma questo è quello che parla di quella storia di ABORTI clandestini?


Luciano ha detto...

Sì, ci siamo da quasi trent'anni. Ma con "ritornare al cinema moderno" non intendevo dire che bisogna tornare indietro, ma soltanto ammettere che il moderno è stato accantonato da tempo. Appunto siamo da troppo tempo nel riciclo (e non solo nel cinema) e forse ne usciremo solo quando vi saranno condizioni sociali, politiche, economiche, nonché culturali (senza trascurare il talento e le idee). Non so. E' un argomento interessante e complesso e forse è meglio che chiuda qui. Altrimenti riempio di commenti il tuo post.
Grazie per il piacevole scambio di opinioni.


gparker ha detto...

Figurati.

Si è quello degli aborti clandestini.


Anonimo ha detto...

Ho visto il film...
Da rumena posso dire che mi aspettavo a qualcosa di più, al fatto che potevano far vedere ed evidenziare la vita ancora più difficile di quanto si può intuire, ma penso che è stato abbastanza problematico a riportare la vita ed i paesaggi di quell'epoca (con tutte le publicità di oggi spesso illuminate a neon, le macchine nuove che sfrecciano sulle strade di Bucuresti e gli attori giovani che non hanno visuto quello che il regista voleva far vedere). Mi dispiace di non aver visto anche un discorso della ragazza che deve abortire, di analisi su se stessa, se sofriva, oppure era solo il desiderio di disfarsi del fardello? Può darsi che un uomo (Mungiu) non si è posto questo problema...


gparker ha detto...

Credo più che altro non fosse l'interesse dell'autore, cioè mi è sembrato che la questione dell'aborto non fosse tanto il cuore del film quanto lo spunto di trama, il pretesto per riuscire a mostrare le difficoltà e le contraddizioni della vita sotto quel regime e in quelle condizioni.
Poteva essere l'aborto come l'eutanasia o il traffico di droga o tutto quello che era proibito ma veniva fatto lo stesso.


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