Colpevolmente ho perso tutti i film precedenti di Kechiche arrivando impreparato e vergine a Cous Cous, vincitore morale di Venezia e grande successo anche di pubblico.
Lo stile è quello del cinema indipendente europeo, contaminato anche da alcuni influssi del cinema nordafricano (cosa che chiaramente non sorprende) ma la storia narrata è nel più tipico stile europeo classico.
E' un momento nella vita di un uomo ad essere messa in scena, quello in cui il lavoro va talmente male da indurlo a tentare l'impresa privata e aprire un ristorante.
Ma ci vuole del tempo prima di arrivare al clou. Come tipico gran parte del film è lasciata all'esposizione dei personaggi e la messa in scena dei loro rapporti senza che l'intreccio della trama avanzi (o facendolo avanzare molto lentamente).
L'ex moglie, la nuova amante, la figlia di questa, i nipoti, gli altri figli ecc. ecc. Tutto il nucleo che ruota intorno a lui e che costituisce il supporto del film, viene sviscerato con molta calma, i caratteri sono disegnati con perizia ma senza tuttavia che questo porti a qualcosa, anche nella rapida soluzione finale dell'intreccio.
Come spesso si vede in questo tipo di cinema infatti è negli ultimi 30 minuti che la storia entra nel vivo e i fili tessuti nell'arco del film vengono tirati tutti insieme facendo precipitare gli eventi premendo sull'acceleratore del sentimentalismo, della suspence e del dramma tutto insieme.
Il risultato è come spesso accade d'effetto, poichè abbiamo imparato a conoscere bene i personaggi per tutto il film, ci sono stati illustrati per bene e li abbiamo potuti compatire e immedesimarci con loro. Così quando tutto volge contro di loro il senso di dramma è totale.
Eppure questa volta il gioco sembra fine a se stesso e sterile. Le morti, le agnizioni, le soluzioni improvvise non sembrano puntare a nulla e finito l'effetto immediato di stupore e accelerazione empatica rimane poco. E sinceramente non mi sento di condividere il discorso hanekeiano di "generazione di fastidio nello spettatore per smuovere le sue convinzioni borghesi".
Discorso a parte poi andrebbe fatto sul fatto che in questi film i personaggi (tutti) non si comportano mai come farebbe lo spettatore medio occidentale (anzi come farei io), generando un senso di fastidio continuo a fronte di un'immedesimazione che comunque rimane ineluttabile. Mi costringono insomma ad immedesimarmi con degli inetti.
Lo stile è quello del cinema indipendente europeo, contaminato anche da alcuni influssi del cinema nordafricano (cosa che chiaramente non sorprende) ma la storia narrata è nel più tipico stile europeo classico.
E' un momento nella vita di un uomo ad essere messa in scena, quello in cui il lavoro va talmente male da indurlo a tentare l'impresa privata e aprire un ristorante.
Ma ci vuole del tempo prima di arrivare al clou. Come tipico gran parte del film è lasciata all'esposizione dei personaggi e la messa in scena dei loro rapporti senza che l'intreccio della trama avanzi (o facendolo avanzare molto lentamente).
L'ex moglie, la nuova amante, la figlia di questa, i nipoti, gli altri figli ecc. ecc. Tutto il nucleo che ruota intorno a lui e che costituisce il supporto del film, viene sviscerato con molta calma, i caratteri sono disegnati con perizia ma senza tuttavia che questo porti a qualcosa, anche nella rapida soluzione finale dell'intreccio.
Come spesso si vede in questo tipo di cinema infatti è negli ultimi 30 minuti che la storia entra nel vivo e i fili tessuti nell'arco del film vengono tirati tutti insieme facendo precipitare gli eventi premendo sull'acceleratore del sentimentalismo, della suspence e del dramma tutto insieme.
Il risultato è come spesso accade d'effetto, poichè abbiamo imparato a conoscere bene i personaggi per tutto il film, ci sono stati illustrati per bene e li abbiamo potuti compatire e immedesimarci con loro. Così quando tutto volge contro di loro il senso di dramma è totale.
Eppure questa volta il gioco sembra fine a se stesso e sterile. Le morti, le agnizioni, le soluzioni improvvise non sembrano puntare a nulla e finito l'effetto immediato di stupore e accelerazione empatica rimane poco. E sinceramente non mi sento di condividere il discorso hanekeiano di "generazione di fastidio nello spettatore per smuovere le sue convinzioni borghesi".
Discorso a parte poi andrebbe fatto sul fatto che in questi film i personaggi (tutti) non si comportano mai come farebbe lo spettatore medio occidentale (anzi come farei io), generando un senso di fastidio continuo a fronte di un'immedesimazione che comunque rimane ineluttabile. Mi costringono insomma ad immedesimarmi con degli inetti.
6 commenti:
Non sempre l'immedesimazione con gli inetti è fastidiosa. Succede la stessa cosa con i film di Vanzina. Piuttosto non capisco tutto il clamore fatto a Venezia attorno a questo titolo. Voglio dire, non capisco questo abbandono all'emotività dell'intera laguna, pubblico e critica poi! E' un film gradevole, ma basta così.
Anche io sono rimasto molto stupito del clamore suscitato intorno a questo che tutto sommato è un film interessante ma non eccellente.
A me l'immedesimazione con gli inetti nel senso di coloro i quali non riescono a risolvere i propri problemi e prendono sempre la decisione sbagliata, specialmente in un contesto drammatico, è una di quelle cose che mi fa agitare sul sedile del cinema.
Non concordo in pieno con la tua analisi. Anche secondo me è un buon film, però va sottolineato la capacità di raccontare la quotidianaità,la scena del pranzo ad esempio è di una verità incredibile.
Ciao
Quello che dici è vero ma poi oltre l'abilità nello scrivere e nel mostrare (che non metto in dubbio) non c'è nulla.
Non dico che Kechiche sia sopravvalutato, dico che questo film è stato sopravvalutato.
questo è un gran film, proprio per il racconto del banale, del normale...
son facili gli stereotipi e le caratterizzazioni facili... questo è puro cinema realista e umano!
di cinema semplice ed essenziale, realista e senza fronzoli ne esiste moltissimo e ha indubbiamente molti pregi. In questo caso tuttavia non mi ha esaltato, anzi...
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