Si lo so, sarebbero da vedere tutti gli episodi di Masters Of Horror, più mi capita di vederne più mi esaltano. Però avecce il tempo... Sono una marea...
Ad ogni modo Imprint è fortissimo, ho visto poche cose sparute dalla sconfinata filmografia di Miike, film classici (Ichi The Killer) e esperimenti incredibili e incredibilmente riusciti (Zebraman), ma Imprint mi ha veramente impressionato.
E non solo per la violenza e l'efferatezza (ma ce l'ha con il concetto di ago o sbaglio?) quanto per la maniera sensazionale di fondere l'efferato e l'estetico. Il senso dell'immagine, il suo valore e il suo potere come lo si intende in Giappone già si erano ammirati nel loro scarto dalla nostra di cultura anche nei più commerciali j-horror, figuriamoci qui.
Imprint ha una trama argentiana per come dispiega gli indizi e poi svela la mostruosità traendo in inganno con le apparenze e poi riconfermandole, ma mai come in questo caso la trama conta poco (non nell'economia del film, quanto nell'apprezzamento). Giocato su una struttura a flashback tutto il film si nutre di rossi (anche perchè è forte il tema del parto e quindi il sangue ecc. ecc.) e anche nei momenti più duri di efferatezza horror non smette di stupire per le scelte ardite di cinema. Su tutti basta pensare all'incredibile immagine finale della punizione che viene riservata alla ragazza accusata di furto (foto centrale). Il peggio non è l'indicibile tortura cui è sottoposta ma quell'immagine finale.
C'è spazio anche per qualche fenomenale suggestione da horror classico rivisitato come quando mentre la prostituta racconta il protagonista per un attimo è convinto di vedere alle sue spalle un'entità, la cui presenza non è sottolineata dalla messa in scena ma anzi lasciata ai margini, confidando (giustamente) che lo spettatore anche lo noterà.
Veramente una chicca. E il fatto che al momento abbia in preproduzione Yattaman mi fa impazzire dalle risate.
Ad ogni modo Imprint è fortissimo, ho visto poche cose sparute dalla sconfinata filmografia di Miike, film classici (Ichi The Killer) e esperimenti incredibili e incredibilmente riusciti (Zebraman), ma Imprint mi ha veramente impressionato.
E non solo per la violenza e l'efferatezza (ma ce l'ha con il concetto di ago o sbaglio?) quanto per la maniera sensazionale di fondere l'efferato e l'estetico. Il senso dell'immagine, il suo valore e il suo potere come lo si intende in Giappone già si erano ammirati nel loro scarto dalla nostra di cultura anche nei più commerciali j-horror, figuriamoci qui.
Imprint ha una trama argentiana per come dispiega gli indizi e poi svela la mostruosità traendo in inganno con le apparenze e poi riconfermandole, ma mai come in questo caso la trama conta poco (non nell'economia del film, quanto nell'apprezzamento). Giocato su una struttura a flashback tutto il film si nutre di rossi (anche perchè è forte il tema del parto e quindi il sangue ecc. ecc.) e anche nei momenti più duri di efferatezza horror non smette di stupire per le scelte ardite di cinema. Su tutti basta pensare all'incredibile immagine finale della punizione che viene riservata alla ragazza accusata di furto (foto centrale). Il peggio non è l'indicibile tortura cui è sottoposta ma quell'immagine finale.
C'è spazio anche per qualche fenomenale suggestione da horror classico rivisitato come quando mentre la prostituta racconta il protagonista per un attimo è convinto di vedere alle sue spalle un'entità, la cui presenza non è sottolineata dalla messa in scena ma anzi lasciata ai margini, confidando (giustamente) che lo spettatore anche lo noterà.
Veramente una chicca. E il fatto che al momento abbia in preproduzione Yattaman mi fa impazzire dalle risate.
2 commenti:
Miike è un grande, i masters of horror a me non sono piaciuti per nulla, solo questo è bello.
E comunque il suo prossimo film non è yattaman ma crosw episode zero: studenti e botte.
Yattacul
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