È inesorabile il cineteatro di Salemme, periodicamente ritorna proponendo una versione filmata e in più location di un suo spettacolo teatrale. E come per le rappresentazioni su un palco tende ad avere più o meno sempre la medesima compagnia, da Carlo Buccirosso fino a Maurizio Casagrande, con la promozione nel ruolo principale questa volta di Nando Paone. La trama è quel misto di dolceamaro, di buoni sentimenti che si battono per finta contro i più cinici, alimentati dal denaro. Si tratta dell'area in cui Salemme ama muoversi, l'incrocio tra il tradizionale e il velleitariamente spietato.
In questo caso la morte della mamma costringe il protagonista della storia a lasciare il suo fallimentare lavoro di musicista sulle navi da crociera per tornare a casa e aprire il testamento. A casa trova i suoi due fratelli, uno matto e l'altro che ha imparato a conviverci, non ama stare con loro ma dovrà farlo se vuole ottenere la sua parte di eredità. Il racconto del lavoro sulla nave, lo scontro casalingo con ritmi della vita dei due fratelli, le difficoltà nel portare a termine le carte necessarie per avere l'eredità e anche un tentativo di romance con la vicina di casa, non c'è niente di inserito nel flusso della narrazione, tutto è concepito come una gag slegata dal resto. Sono convinto che sarebbe possibile separare le singole scene dei molti film di Salemme e mescolarle tra loro per crearne uno nuovo e la fluidità non sarebbe diversa da quella delle sue normali produzioni.
Inoltre per quanto la lotta contro lo stereotipo della napoletanità sia uno dei baluardi della scrittura di Salemme è indubbio che sempre di più le sue sceneggiature (o testi teatrali) rimestino in un immaginario e sfruttino figure che non sono lo stereotipo più banale ma solo un pelo più sofisticato. La sua non è comicità napoletana ma sui napoletani e con i napoletani, tanto quanto quella di Verdone è sui romani e con i romani, e più va avanti più rimesta in luoghi comuni e figure tipiche che flirtano con quegli stereotipi che poi apertamente condanna. A che serve battersi contro l'idea "pizza e mandolino" se poi viene sfruttata quella delle signore al cimitero o degli impiegati svogliati ma con voglia di parlare?
A fronte di tutto questo l'insulto finale è come ...e fuori nevica, fin dal titolo ma soprattutto fin dall'inizio della sceneggiatura, miri alla più ricattatoria delle scene madri. Ed è quasi peggio il fatto che poi, una volta arrivato lì, non abbia la voglia, il coraggio o anche solo la coerenza di chiudere il film su quella nota che preparava fin dall'inizio ma di fargli seguire un secondo finale molto posticcio, molto conciliante e tranquillizzante.
7 commenti:
Già, anche io speravo in qualcosa di meglio ma è lo stereotipo della solita commedia italiana degli ultimi anni..
e anche come stereotipo non è troppo riuscito
la versione teatrale del 95 l'avevate vista?
Aveva una comicità, un'amarezza e una profondità dei personaggi che a distanza di anni ricordo nei dettagli da quanto mi colpì ..
..come fanno loro stessi a svilire un'opera di cui dovrebbero per primi avere rispetto..boh..
no, non l'ho vista, non dubito di quel che dici ma è davvero difficile da credere
se hai modo..anche solo qualche piccolo spezzone su youtube sbircialo, ti rendi immediatamente conto di quale spessore era quell'opera e la loro interpretazione.
Saluti!
Non sono andata al cinema nell' intento di rivivere quelle stesse emozioni...L'opera teatrale è un capolavoro ed era scontato la macchina da presa semplificasse al massimo ma lasciatemelo dire chi ama quel trio non deve fare paragoni... si siede in poltrona e si fa quattro sane risate!!!!
Peccato che il film non te le faccia fare
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