ALICE NELLA CITTA'
FESTA DEL CINEMA DI ROMA
Il nuovo lungometraggio di Mamoru Hosoda è il successore spirituale di Wolf Children, di quella storia
riprende la metafora della bestialità contrapposta all'umanità e continua a raccontare come si cresca e
come si cambi, quanto cioè il momento della formazione possa rivoluzionare una persona. A mancare è
però quel tono intimista al quale Hosoda sceglie di preferirne uno più d'azione, fondando la storia su
una serie di confronti finali che forse sono la parte più debole e insieme più urlata di un film che invece
in molti punti dimostra di saper vivere anche di allusioni. Se in Wolf Children una mamma umana si
trovava a dover crescere di nascosto da tutti due bambini lupo, in The boy and the beast un bambino
umano è cresciuto in un mondo parallelo, popolato da bestie parlanti; in entrambi, una volta adolescenti
i bambini devono scegliere cosa essere, a che mondo appartenere, sapendo bene che qualsiasi scelta
ferirà persone a loro care.
Con una madre morta e un padre divorziato al quale i tutori non vogliono farlo ritornare, il bambino
protagonista sceglie di scappare e vivere da vagabondo fino a che non incontra una bestia di passaggio
nel mondo degli umani. Questa lo prende come suo apprendista e lo porta nel proprio mondo dove lo
educherà alle arti marziali (cosa che nel mondo asiatico coincide con un'educazione morale ed spirituale) fino all'adolescenza. La cosa importante però è come l'umano sviluppi un
legame d'appartenenza con il padre bestia e come soprattutto questi si leghi inaspettatamente a lui.
Stavolta i bambini non hanno bisogno dei genitori ma viceversa.
Proprio qui, in questo snodo fondamentale, il film purtroppo si perde, manca di quella risoluta
concretezza che appare indispensabile per non annegare nel mare delle emozioni umane. Quella
fermezza necessaria a comprendere cosa si voglia ritrarre e poi correre dritti al punto The boy and the beast
non ce l'ha, corre appresso a diverse sensazioni e sfumature del rapporto padre-figlio e addirittura
appresso a una trama ancora più scema che parla di lato oscuro ed equilibrio sentimentale con un abuso
forsennato di metafore dentro metafore.
Impossibile però trascurare la maniera in cui quest'autore confermi di essere un narratore fenomenale
anche in un film meno riuscito. The boy and the beast non può rivaleggiare con i suoi lavori migliori,
eppure lo stesso in esso è evidente una capacità di affermare le grandi ovvietà del mondo con uno
spirito inedito, di colpire lo spettatore sui nervi resi più callosi da tanto cinema, bello e brutto, in modo
da renderli di nuovo sensibili. Anche le grandi banalità nei film di Hosoda sono vere, tangibili e
contaminanti, perchè nelle sue storie e nei suoi personaggi apertamente fantasiosi c'è una clamorosa
vicinanza al reale, le sue allegorie sono così prossime a ciò che intendono da essere immediate, non suonare mai intellettuali e, forse
proprio per questo, ammalianti.
La storia dell'orso rissoso per il quale nessuno tifa e del suo allievo bambino, con cui non fa che
scontrarsi e litigare ma che in ultima analisi è l'unico con il quale abbia stretto un legame significativo,
potrà anche per certi tratti annoiare e far pensare ai lungometraggi più scemi, ma in pochi secondi e
qualche immagine spazza via la concorrenza.
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