Ha mobilitato tutte le sue risorse Luc Besson (più un cast pieno di cammei per attirare ogni tipo di pubblico da Herbie Hancock a Rihanna fino al sempreverde Rutger Hauer) per realizzare il progetto di una vita: l’adattamento di Valerian e Laureline. Ha preso spunto dal racconto più suggestivo della serie a fumetti, quello per l’appunto della città dai mille pianeti, ma l’ha piegato, ripiegato, cambiato e contaminato di elementi da altre storie della serie per renderlo un film bessoniano. Là dove c’era solo Laureline alla ricerca di Valerian, Besson ha inserito una storia di coppia, là dove il fumetto era una esplorazione dal passo compassato della grande città fatta di diversi mondi, ha realizzato una corsa a perdifiato che sembra perdersi tra i mille pianeti con una trama politico-ambientalista di mezzo, là dove c’era un’eroina rossa, qui ce n’è una bionda. Il risultato è necessariamente molto diverso dal fumetto, appassionante a tratti, con qualche trovata fortissima ma contornato di personaggi scritti male e con una trama troppo sciocca per essere interessante.
Besson ha deciso innanzitutto di dividere il film in due parti di cui la prima, introduttiva, mostra un’avventura tipica da Valerian e Laureline, tutta fondata su un’invenzione visiva niente male (Valerian è in un luogo ma agisce in un altro, si muove in un deserto ma le sue azioni hanno effetto in un mercato, Laureline lo può aiutare solo in una delle due dimensioni). La seconda invece è più dedicata al vero intereccio, cioè alla scoperta di cosa ci sia nella zona radioattiva che il governo della stazione Alpha considera una minaccia, chi voglia a tutti costi recuperare l’animaletto che moltiplica qualsiasi cosa (il McGuffin del film, preso pari pari dal fumetto) e come mai Valerian abbia avuto una visione ad inizio storia.
In questa trama dinamica che presta il fianco a tantissimi cambi di luoghi, tantissimi incontri con razze diverse (è il punto di tutto il film, rappresentare un mondo ricchissimo, profondo e affascinante) purtroppo si perde la prospettiva. Valerian e la Città Dei Mille Pianeti fallisce quello che è evidentemente il suo obiettivo: dare l’idea che i due personaggi agiscano in un mondo grande e affascinante, in cui ci sono tantissime storie da raccontare ma di cui noi seguiamo solo una. È il segreto di Guerre Stellari, ambientare tutto in un mondo che trasuda possibilità, che sembra essere l’incrocio di tante altre trame e film possibili, in cui i molti personaggi hanno tutti una propria agenda e proprie finalità. Lo si capisce già dalla bellissima scena iniziale che parte dagli anni ‘70 e mostra l’evoluzione della vita umana nello spazio (tutti gli umani sono registi e sceneggiatori di orbita francese da Louis Leterrier a Olivier Megaton a Benoit Jacquot) a partire dal gesto della stretta di mano, un momento in cui un montaggio preciso e Space Oddity nel sottofondo affermano che non siamo davanti ad una distopia ma al suo contrario.
Al suo secondo vero, grande film di fantascienza, Besson gira una versione migliorata di Il Quinto Elemento sotto tutti i punti di vista, dal ritmo alla credibilità. Soprattutto trova e scrive due protagonisti eccezionali, molto migliori dell’avventura banale e poco suggestiva in cui sono inseriti ma allo stesso livello degli sfondi e della computer grafica in cui sono immersi. Valerian è un eroe maschile poco convenzionale, perché un po’ scemo eppure abile, ammirevole per certi versi ma poi incapace su altri (bravissimo Dane DeHaan a creare quest’ibrido senza sconfinare nella cretineria pura), e Laureline invece è l’aggiornamento dell’eroina bessoniana, determinata, sicura di sé e pronta a menar le mani, con una durezza costante che non la rende però antipatica (onore al merito a Cara Delenvigne) e dei cedimenti sentimentali che non comunicano mai fragilità, anzi sono i suoi punti di forza!
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