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12.5.18

Il Codice Del Babbuino (2018)
di Davide Alfonsi e Denis Malagnino

Il Codice Del Babbuino si svolge in un’unica notte di ricerca. Una donna è stata violentata in un prato, lo scopriamo tramite un’idea di montaggio interno fantastica che sembra uscita da un film amatoriale di Spielberg (dall’interno di una macchina vengono messi i fari abbaglianti e a sorpresa è illuminato cosa c’è là davanti). Il fidanzato e un suo amico che cerca in ogni modo di placarne la rabbia partono alla ricerca dei colpevoli nel quartiere. Il ritrovamento del corpo vicino ad un campo Rom fa pensare al più giovane e xenofobo dei due che siano stati loro, ma è tutto molto più complesso.

I film del collettivo Amanda Flor non somigliano a niente altro. Sono quanto di meno ordinario dal punto di vista della messa in scena, della scrittura e della recitazione si possa trovare oggi, rifiutano ogni concetto di professionalità come la intendiamo, lavorano a budget ridicoli e con ogni immagine dimostrano che al cinema i soldi non contano niente se si hanno le idee, la volontà e le capacità (le quali sono sempre gratuite). Hanno una maniera radicale di essere appassionanti e convincenti, tremendamente reali e di finzione al tempo stesso. Usando le armi migliori della narrazione al cinema (colpi di scena, personaggi epici, spunti criminali, tensione ecc. ecc.) mettono in scena un mondo che nemmeno per un secondo si dubita esistere da qualche parte, e lo fanno con una personalità riconoscibile già dopo pochi secondi.

Insomma la cosa più sbagliata di fronte ai loro film, e Il Codice Del Babbuino non fa eccezione, è pensare di giudicarli dai valori produttivi, dentro questi film girati con pochissimo c’è tantissimo. Lo si capisce già pochi minuti dentro la storia quando è evidente che siamo in una specie di Training Day al contrario, in cui il giovane sul posto passeggero è la parte estrema e sregolata e il più anziano alla guida cerca di moderarlo per arrivare all’obiettivo. In questa nottata folle di piani sregolati di vendetta c’è in realtà un’anima da salvare, quella del vendicativo ragazzo la cui fidanzata è stata violentata. Pronto a tutto subisce il fascino estremo da uomo forte del terzo incomodo, il Tibetano, strozzino in gilet che pare uscito da un film di Tarantino, diabolico persuasore a parole, dotato di agendina profondissima, sempre con qualcuno da chiamare per risolvere i problemi, che gongola nel vedere l’anima del giovane corrompersi davanti a lui.

A lui ovviamente si contrappone il più anziano (Denis Malagnino anche co-autore), l’elemento moderatore che in questo mondo allo sfascio è il buono per quanto spacci erba e abbia debiti ingenti. Forse c’è anche la sua anima in gioco, forse ad essere messa alla prova è anche la sua pazienza olimpica e le sue buone intenzioni che gli fanno rispondere con parole efficaci e taglienti ad umiliazioni e soprusi.

La maggior parte del film è giocata in auto, spostandosi di indizio in indizio, di informatore, risolutore e aiutante, sempre più vicini ai colpevoli. E in questo modo lentamente emerge la componente più forte del film: questo mondo in cui con una tranquillità e una normalità allucinanti non c’è fine al peggio. In Il Codice Del Babbuino anche la conversazione più casuale riserva scorci di violenza inaudita che esplodono all’improvviso, raccontati come fatti normali. Del resto la componente unica, che non si trova in nessun altro film di genere e in cui invece sguazzano gli Amanda Flor, è come in ogni dialogo e in ogni scena di questo piccolo, ennesimo, capolavoro si respiri un’aderenza mai vista a ciò che viene raccontato. L’impressione è sempre che per chi racconta i fatti mostrati siano così all’ordine del giorno da non impressionare più, ripresi e guardati con il massimo dell’ordinarietà. Cosa che li veste di una potenza che non avrebbero in nessun altro film.

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