Dopo l'adrenalina da rapine e da vita al massimo di Point Break, l'adrenalina estrema dei sogni degli altri di Strange Days, ora la droga è l'adrenalina della guerra e più precisamente dello sminare bombe.
Kathryn Bigelow parte dal presupposto da cui era partito Michael Cimino per Il Cacciatore cioè dal fatto che ci sono cose che ti cambiano e delle quali finisci per non poter fare più a meno, e quella sensazione di rischio continuo della vita che si prova in guerra è una di queste, e ci aggiunge la visione di Coppola e di Kubrick delle gerarchie militari e delle follie degli ufficiali.
The Hurt Locker è dunque il primo film sulla guerra in Iraq che cerca di inserirsi nel filone del cinema di guerra antimilitaresco nato ai tempi del Vietnam. Raccontando nella più classica tradizione il tragitto verso il congedo di un gruppo di soldati, in questo caso sminatori e in particolare di uno di loro, quello incaricato materialmente di maneggiare gli esplosivi da vicino.
Ma se la storia raccontata è classica lo stile non lo è. Sono successe molte cose nel mondo del cinema e in quello reale, il linguaggio non è più quello degli anni '70 e nemmeno il modo che ha la società di vivere simili eventi.
La guerra in Iraq non può essere raccontata con i mezzi del cinema classico perchè è una guerra che ci ha invaso di immagini. Siamo pieni di filmati digitali, amatoriali e di reportage dai luoghi del conflitto. E' una guerra già vista attraverso gli occhi dei telegiornali e dei documentari. Per questo tutti la raccontano con la camera a mano, i colori naturali e un montaggio spezzato e frenetico. Perchè per un motivo o per l'altro è una guerra più reale delle altre.
La forza di Kathryn Bigelow però è di inserire in questa forma (già alla base per dire di The Kingdom e ancora di più di Redacted) il cinema hollywoodiano senza dunque rinunciare alla tradizione americana. Basti vedere la splendida scena del duello a distanza di chilometri nel deserto o il rigoroso studio sulla suspense che viene fatto ad ogni bomba sminata.
Purtroppo però alla fine The Hurt Locker risulta un film più di testa che di cuore, un incredibile saggio frutto di grande di maestria e di competenza cinematografica, una dimostrazione di vera competenza nel modo in cui si maneggia il montaggio e quindi il ritmo che non manca di impressionare davvero che però non parla d'altro che di cinema.
Kathryn Bigelow parte dal presupposto da cui era partito Michael Cimino per Il Cacciatore cioè dal fatto che ci sono cose che ti cambiano e delle quali finisci per non poter fare più a meno, e quella sensazione di rischio continuo della vita che si prova in guerra è una di queste, e ci aggiunge la visione di Coppola e di Kubrick delle gerarchie militari e delle follie degli ufficiali.
The Hurt Locker è dunque il primo film sulla guerra in Iraq che cerca di inserirsi nel filone del cinema di guerra antimilitaresco nato ai tempi del Vietnam. Raccontando nella più classica tradizione il tragitto verso il congedo di un gruppo di soldati, in questo caso sminatori e in particolare di uno di loro, quello incaricato materialmente di maneggiare gli esplosivi da vicino.
Ma se la storia raccontata è classica lo stile non lo è. Sono successe molte cose nel mondo del cinema e in quello reale, il linguaggio non è più quello degli anni '70 e nemmeno il modo che ha la società di vivere simili eventi.
La guerra in Iraq non può essere raccontata con i mezzi del cinema classico perchè è una guerra che ci ha invaso di immagini. Siamo pieni di filmati digitali, amatoriali e di reportage dai luoghi del conflitto. E' una guerra già vista attraverso gli occhi dei telegiornali e dei documentari. Per questo tutti la raccontano con la camera a mano, i colori naturali e un montaggio spezzato e frenetico. Perchè per un motivo o per l'altro è una guerra più reale delle altre.
La forza di Kathryn Bigelow però è di inserire in questa forma (già alla base per dire di The Kingdom e ancora di più di Redacted) il cinema hollywoodiano senza dunque rinunciare alla tradizione americana. Basti vedere la splendida scena del duello a distanza di chilometri nel deserto o il rigoroso studio sulla suspense che viene fatto ad ogni bomba sminata.
Purtroppo però alla fine The Hurt Locker risulta un film più di testa che di cuore, un incredibile saggio frutto di grande di maestria e di competenza cinematografica, una dimostrazione di vera competenza nel modo in cui si maneggia il montaggio e quindi il ritmo che non manca di impressionare davvero che però non parla d'altro che di cinema.
20 commenti:
Dopo averlo visto posso dire che una mattonata sui coglioni era meglio.
almeno questo lo hai visto....
Se non altro...
Ma perchè mi dici sempre così?
Io insulto solo persone o film con cui ho avuto a che fare....hai capito? O ti devo mandare a casa qualcuno che te lo farà capire meglio di me?
Ogni cosa finisce nella minaccia fisica....
Un blog di bulli scolastici cazzo....
Compatto per il prossimo mese i picchiatori sono tutti occupati.
Se devi menare qualcuno ti tocca farlo da solo.
Abbiamo un posto disponibile per metà dicembre, però devi prenotare subito.
Pauline Kael non si sarebbe mai fatta trattare così.
comunque a me ha veramente fomentato sto film.
Concordo sulla conclusione, in effetti parla solo di cinema. Mi piace pensare che se parlava anche di qualcos'altro era un capolavoro.
E comunque è sicuramente meglio di Van Helsing.
Pauline Kael non ha mai dovuto gestire un blog!
ci vuole un delicato equilibrio tra pugno fermo e sguardo benevolo da padre che lascia giocare i figli.
E che si lascia minacciare ripetutamente di morte da loro.
figli a chi!?
figli DI chi semmai...
figli di chi?!
Il 90% dei film in commercio è meglio di Van helsing...ancora maledico il compatto che ci costrinse a vederlo...all 'odeon se non ricordo male
che proiezione mitica...
io non so con chi l'ho visto so solo che fa proprio schifo.
Uno dei più brutti fra quelli che ho visto negli ultimi anni...
mi ricordo chiaramente che c'era maria....e che con enrico discutemmo tutto il tempo su un attore porno tale Torpedo Gomez
Costretto un cazzo! Siete venuti spontaneamente. E Matteo Breccia era fomentatissimo
Però mi sa che io non c'ero, anche se non ricordo perchè...
No, non c'eri, chissà per quale anomalo motivo, il film te lo sei visto su dvd che ti ho prestato.
DVD che poi ho perso, peccato c'era una bella intervista ad Alan Silvestri.
qui c'è un commento interessante sul film: http://lens.blogs.nytimes.com/2010/03/01/essay-15/
interessante, non sapevo che fosse così poco accurato.
Tuttavia alla fine sono elementi che trovo centrino poco con la godibilità del film da parte di chi non è un militare.
Il punto è che al cinema per dire la verità bisogna mentire. Mentono gli attori che recitano enfatizzando le situazioni reali, mentono le scene spesso finte, mentono i bicchieri d'alcol in realtà pieni d'acqua, le armi caricate a salve, i ritocchi in post produzione, il montaggio di una medesima sequenza frutto di scene girate in giorni diversi e via dicendo. In questo tripudio di continue menzogne e falsità che anche la trama menta, sbagliando molti particolari, pure grossi conta poco.
Specie se il risultato, cioè i sentimenti, le relazioni e le sensazioni che racconta sono vere.
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