François Ozon ci ha abituato ad un cinema puramente francese, spesso divertito come in 8 Donne e Un Mistero, ma comunque serio e rigoroso. Ricky invece spariglia tutte le carte. E Ozon lo sa.
La sua forza infatti sta innanzitutto in come nella prima metà del film gioca con le aspettative dello spettatore. Si racconta di una famiglia spezzata: una madre e una figlia di 7 anni, che diventano di nuovo famiglia con un nuovo partner e un neonato.
Grazie alla musica, ad alcune inquadrature studiate e a fini stacchi di montaggio il regista comincia a suggerirci che ci sia qualcosa che non va: il bambino piange spesso, il padre sembra sopportare a fatica il nuovo ruolo e la bambina sente minacciata la sua unicità. Si respira una forte tensione perchè senza che accada davvero nulla Ozon lascia che lo spettatore si attenda continuamente il peggio, come se la tragedia fosse dietro l'angolo.
In realtà dietro l'angolo non c'è una tragedia ma una sorpresa davvero imprevedibile, che non anticiperemo qui anche se è possibile scoprirlo vedendo il trailer ufficiale.
Da quel momento in poi il film perde quella tensione abilmente costruita della prima parte e preme il pedale sul metaforico, c'è un che di fantastico e quindi di allegorico nella storia di Ricky, figlio di una donna operaia in una catena di montaggio di prodotti chimici e di un collega spagnolo. Figlio ibrido e "diverso", forse per quello che è nell'aria in quella fabbrica malsana o forse perchè si e basta.
In molti potrebbero rimanere delusi da Ricky perchè non prende mai la decisione che ci aspettiamo nè viene incontro ai temi progressisti che ci si aspetterebbe. Non è un film sulla diversità come ad un certo punto si potrebbe facilmente ipotizzare e la risoluzione finale del film, ovvero il modo in cui il regista decidere di chiudere il suo racconto, è veramente anticonvenzionale e ci parla con spirito quasi anarchico della libertà nella sua accezione più ampia.
La sua forza infatti sta innanzitutto in come nella prima metà del film gioca con le aspettative dello spettatore. Si racconta di una famiglia spezzata: una madre e una figlia di 7 anni, che diventano di nuovo famiglia con un nuovo partner e un neonato.
Grazie alla musica, ad alcune inquadrature studiate e a fini stacchi di montaggio il regista comincia a suggerirci che ci sia qualcosa che non va: il bambino piange spesso, il padre sembra sopportare a fatica il nuovo ruolo e la bambina sente minacciata la sua unicità. Si respira una forte tensione perchè senza che accada davvero nulla Ozon lascia che lo spettatore si attenda continuamente il peggio, come se la tragedia fosse dietro l'angolo.
In realtà dietro l'angolo non c'è una tragedia ma una sorpresa davvero imprevedibile, che non anticiperemo qui anche se è possibile scoprirlo vedendo il trailer ufficiale.
Da quel momento in poi il film perde quella tensione abilmente costruita della prima parte e preme il pedale sul metaforico, c'è un che di fantastico e quindi di allegorico nella storia di Ricky, figlio di una donna operaia in una catena di montaggio di prodotti chimici e di un collega spagnolo. Figlio ibrido e "diverso", forse per quello che è nell'aria in quella fabbrica malsana o forse perchè si e basta.
In molti potrebbero rimanere delusi da Ricky perchè non prende mai la decisione che ci aspettiamo nè viene incontro ai temi progressisti che ci si aspetterebbe. Non è un film sulla diversità come ad un certo punto si potrebbe facilmente ipotizzare e la risoluzione finale del film, ovvero il modo in cui il regista decidere di chiudere il suo racconto, è veramente anticonvenzionale e ci parla con spirito quasi anarchico della libertà nella sua accezione più ampia.
4 commenti:
Nessun film potrà mai valere quello che ti sei perso ieri...
ahahahahhahahahahahah!!!
ci ho messo un po' a capirlo!
Dammi gli highlights della serata...
E lui il regista della cena dei cretini?
No, lui è un regista autorialissimo.
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