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18.1.10

La Sposa Turca (Gegen Die Wand, 2004)
di Fatih Akin

La doppia visione di Soul Kitchen ha inevitabilmente scatenato il tanto posticipato recupero di La Sposa Turca (solito titolo italiano che ammicca ad una storia d'amore, l'originale significa "contro il muro"), film con cui il cineasta turco-tedesco vinse Berlino e si fece notare in campo internazionale.
Visto a 5 anni dalla sua uscita originale il film tratta un tema poi molto abusato e con esiti disastrosi, tanto da creare in me una sorta di rinforzo negativo di fronte alle storie di immigrati di seconda generazione vessati da un nucleo familiare bigotto e oppressivo, ripiegato all'interno della propria comunità che rifiuta l'integrazione e la contaminazione con il paese ospitante, per sè e per i propri figli. Inutile dire che La Sposa Turca, al contrario dei film che l'hanno seguito è straordinario.

Ma straordinario il film non lo è tanto per il modo in cui affronta questa storia, che comunque corrisponde ad un'idea di mondo aperta, cosmopolita, vagamente amante dei più derelitti e di quel piccolo amorevole senso del ridicolo che si portano appresso, quanto per il respiro che gli obiettivi, i carrelli e le musiche non originali utilizzati da Fatih Akin gli danno.

Non ho citato a caso tre componenti che solitamente caratterizzano il cinema di Scorsese, Akin sembra infatti anche più innamorato del regista italoamericano di quanto non lo possa sembrare il nostro Sorrentino, il debito che nutre nei suoi confronti è infinito e il rispetto con il quale utilizza espedienti del maestro è degno della miglior stima. Non si tratta solo di muovere la macchina con subitanea frenesia in gesti secchi e autoconclusivi o di attraversare gli ambienti per giungere a chi parla o infine utilizzare musica non originale in modo anticonvenzionale, quanto di orchestrare in ogni caso una messa in scena che stupisca per il modo in cui questi elementi sono utilizzati senza che ci sia mai una regola. Alle volte la macchina balla con i protagonisti a tempo di musica, alle volte il montaggio è rapido e secco, altre invece ci sono lunghe immagini fisse silenziose. Ogni momento ha la sua idea, ogni idea è a suo modo una sorpresa. Questa scena è un esempio perfetto di tutto questo, dalla musica fino alla carnalità, fino a quei curiosissimi fermi immagine verso la fine che la prima volta disorientano ma in realtà sono fantastici.

Il racconto non è molto diverso a quello di Soul Kitchen, ci sono i tempi dilatati, la scansione narrativa inusuale, un guaio fisico per un personaggio, il viaggio come ostacolo amoroso, la galera e la città come ambiente fintamente neutro. Tuttavia nel narrare la storia di un amore che, come spesso si è visto, è prima finto poi tremendamente reale Fatih Akin riesce a porre l'accento correttamente sulla componente carnale che traina quella sentimentale. Stavolta alla consueta parabola di innamoramento in poco tempo ci si crede perchè supportata da un sottotesto carnale fortissimo che non è solo sessuale ma si riverbera nella violenza (fortissima), nella sporcizia e nel rapporto gastrointestinale che i protagonisti hanno o desiderano avere con la vita.
Esemplare in questo senso la prima inquadratura regalata alla protagonista (realizzata con focale cortissima mentre tutto il resto del film ha una profondità di campo pazzesca, per dire della libertà stilistica), già contenente una promessa sessuale fatta al personaggio guardato come al pubblico guardante.

6 commenti:

Christian ha detto...

Grande film! Giustamente qualche giorno fa citavi Akin fra i pochi nomi nuovi degni di nota che questo brutto decennio di cinema ci ha regalato.
Non ricordo se lo hai visto o ne hai parlato, ma anche il suo lavoro successivo, "Ai confini del paradiso" (Auf der anderen Seite), è molto bello.


gparker ha detto...

è il prossimo della lista


Anonimo ha detto...

Bravo Leli!


giulai ha detto...

ehm...io.


gparker ha detto...

ci stavo ;)


Anonimo ha detto...

BRAVA LA PROTAGONISTA (HA GIRATO ANKE FILM PORNO).


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