Noto più che altro per essere il primo adattamento che Nick Hornby fa per il cinema da un romanzo non suo (il che significa la prima vera sceneggiatura) An Education è in realtà l'opera calibrata di una pentita del Dogma cioè Lone Scherfig (era suo Italiano per principianti). L'ex seguace vontrieriana non solo gira un film molto "finto" rispetto ai canoni dogmatici (del resto fare il contrario non avrebbe avuto senso e sarebbe stata un'operazione fuori dal tempo) ma sembra totalmente rinnegare ogni declinazione moderna di quel modo di vedere il cinema. Nessuno più fa film Dogma ma in molti hanno conservato qualcosa da quell'esperienza, qualcosa che contamina il cinema moderno spesso in maniera positiva. Lone Scherfig ha scelto di non farlo.
Il racconto infatti è finto che più finto non si può e proprio per questo molto valevole. Il modo in cui si viene introdotti nel mondo di Jenny, non semplicemente un'intellettuale in fieri in una realtà di aspirazioni borghesi spesso ignoranti e dogmatiche da cui attende di essere liberata come sembra all'inizio, è degno della miglior causa. Cauto, misurato e straordinariamente efficace nel comunicare la complessità dell'educazione alle cose della vita di una ragazza che pensa a tutt'altro, lo script di Hornby è tutto concentrato in come la protagonista venga travolta da quella dimensione passionale della cultura che tutti le presentano come opposta all'approfondimento scolastico e che lei invece vede come complementare.
E alla fine tutto An Education si interroga su questo. Sul parallelo tra educazione canonica (libri, nozioni, latino ecc. ecc.) ed educazione all'attualizzazione di quelle forme di cultura (acquisto di quadri, bei ristoranti, musica raffinata, film francesi degli anni '60 e via dicendo), cioè il passaggio tra l'apertura mentale scolastica e quello a cui quell'apertura dovrebbe servire. "A cosa serve tutto questo?" chiede Jenny alla preside della scuola che non condivide le sue scelte. Un tema su cui chiunque sia stato travolto dal turbine della produzione culturale ad un certo punto si è interrogato.
Una volta tanto quindi la forza del film sta davvero nella sceneggiatura e in quel modo delicato con cui Nick Hornby ci conduce per mano davanti ad un dubbio e chiude il film in maniera netta e decisa (facendo addirittura intuire il futuro della storia), lasciando comunque lo spettatore nell'impossibilità di attribuire con certezza le colpe o i meriti dei molti eventi convulsi e quasi tragici della trama.
Il racconto infatti è finto che più finto non si può e proprio per questo molto valevole. Il modo in cui si viene introdotti nel mondo di Jenny, non semplicemente un'intellettuale in fieri in una realtà di aspirazioni borghesi spesso ignoranti e dogmatiche da cui attende di essere liberata come sembra all'inizio, è degno della miglior causa. Cauto, misurato e straordinariamente efficace nel comunicare la complessità dell'educazione alle cose della vita di una ragazza che pensa a tutt'altro, lo script di Hornby è tutto concentrato in come la protagonista venga travolta da quella dimensione passionale della cultura che tutti le presentano come opposta all'approfondimento scolastico e che lei invece vede come complementare.
E alla fine tutto An Education si interroga su questo. Sul parallelo tra educazione canonica (libri, nozioni, latino ecc. ecc.) ed educazione all'attualizzazione di quelle forme di cultura (acquisto di quadri, bei ristoranti, musica raffinata, film francesi degli anni '60 e via dicendo), cioè il passaggio tra l'apertura mentale scolastica e quello a cui quell'apertura dovrebbe servire. "A cosa serve tutto questo?" chiede Jenny alla preside della scuola che non condivide le sue scelte. Un tema su cui chiunque sia stato travolto dal turbine della produzione culturale ad un certo punto si è interrogato.
Una volta tanto quindi la forza del film sta davvero nella sceneggiatura e in quel modo delicato con cui Nick Hornby ci conduce per mano davanti ad un dubbio e chiude il film in maniera netta e decisa (facendo addirittura intuire il futuro della storia), lasciando comunque lo spettatore nell'impossibilità di attribuire con certezza le colpe o i meriti dei molti eventi convulsi e quasi tragici della trama.
4 commenti:
Raramente mi è capitato di vedere un film così uterino. Così "misocentrico" ad uso e consumo di quell'orda di donnicciole che usano la foto di Audry Hepburn come mantra estetico che non raggiungeranno mai.
Il buon vecchio Hornby non graffia, non ci consegna personaggi pienamente compiuti si limita ad ricreare un contesto da mulino bianco nella perifiria londinese.
La prima parte è una già vista riproposizione del mito di Pigmalione con qualche spunto dell'educazione sentimentale ed è certamente la parte più godibile del film. La seconda è una discesa agli inferi del mondo femminile, i maschi ne resteranno completamente indiffirenti mentre quelle donne, abituate a misurare il mondo con la stoffa del corredo nuziale, vedranno concretizzarsi le loro paure più recondite: il tema della "sedotta e abbandonata", delle aspettative matrimoniali frustrate.
Il tratto che colpisce qui è la freddezza della protagonista, incapace di dare corpo alle proprie emozioni e capace solo di ingenerare il senso di colpa. Troppo borghese per stare con il suo amore mascalzone, troppo anticonformista per rimanere con i genitori. Sembra che la protagonista voglia utilizzare in maniera fungibile la sua vagina o la sua cultura per scalare le pareti della vita.
Vergognoso è l'utilizzo della cultura che emerge da questo film. Mezzo borghese per l'ascesa sociale, scatola vuota che non serve per pensare ma per darsi un ruolo.
Da vomito la parte in cui vanno a Parigi, talmente idilliaca e patinata da far sembrare il favoloso mondo di Amelie un film di tarantino.
non trovo che l'uso della cultura che fa lei sia quello che dici. Semmai è il padre a pensarla così, ma lei anzi se ne distacca e la utilizza come mezzo per la soddisfazione personale, per il raggiungimento di un piacere che è fine ultimo.
Sia nella diatriba con la scuola che con il padre è lei che fa l'alfiere della cultura fine a se stessa e non come mezzo per qualcos'altro e alla fine sembra aver raggiunto quest'ideale.
Avendo visto il film con Gegenschlag non posso che sottoscrivere le sue colorite parole, questo film è indifendibile, soprattutto perchè aveva dalla sua, ai nastri di partenza, dei begli attori, dei bei costumi, delle belle ambientazioni, una bella regista e una bella penna. E invece il risultato è più insipido di una tazza di tè tiepida!
La cosa più esasperante è che, di fatto, non succede NULLA, senza che neanche ci si soffermi sulla mite costernazione della ragazza.
Insomma, un film troppo femminile, l'equivalente femminile di Conan il barbaro. E peccato per tutti quei montgomery sprecati!
si ma a me il cinema al femminile non necessariamente dispiace. Come Conan ha dei valori straordinari e pur parlando solo ad un certo pubblico, per loro fa un discorso fenomenale, allo stesso modo molti film femminili hanno un modo di affrontare quel tipo di racconto, dinamica e svolgimento che si distacca dal resto, facendo discorsi più complessi.
Questo in particolare trovo che abbia un equilibrio che oltre che essere raro è anche più complesso e non acquietante della media dei film.
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