La paranoia è il sentimento attraverso il quale il cinema americano ha codificato negli anni ’70 la sfiducia nel governo. Per la prima volta polemico in maniera compatta, non solo affidandosi a singole voci, il cinema americano fondava una mitologia, quella delle cospirazioni della CIA come grande nemico dei veri valori su cui si fondano gli Stati Uniti e dell’arroganza di presidenti, gabinetti e commissioni militari. Una mitologia così importante che ancora oggi, quando il cinema vuole mettersi dalla parte dei veri valori e contrastare l’amministrazione ancora ricorre a quel filtro.
È così quindi che Michael Cuesta riporta la vera storia di Gary Webb, giornalista che negli anni ’90 scoprì la collusione tra CIA e ribelli del Nicaragua, paese in cui l’esercito statunitense era impegnato. La prima forniva armi ai ribelli per coadiuvare l’esercito nella guerra, il secondo vendeva droga direttamente al governo il quale la tramutava in denaro, affidandola a spacciatori professionisti sul proprio suolo.
Reporter di un piccolo giornale di provincia Gary rivelò la storia e fu messo ai margini del mondo giornalistico da una campagna di diffamazione portata avanti dai maggiori giornali del paese.
Fino a dove si possono difendere i valori americani? Kill the messenger non è propriamente un film sottile, si compiace della propria grana grossa, dell'essere tagliato con l'accetta, presentare esagerazioni e personaggi estremi. Prende una storia vera e la trasforma in fasulla con grande abbondanza di retorica. Forse proprio per questo è anche molto evidente l'abilità con cui questa sceneggiatura manichea è stata trasformata in film. Cuesta manipola il materiale a sua disposizione e realizza un film di una fluidità che impressiona, dosa emozioni, spalma la suspense e valorizza Jeremy Renner, uomo medio con aspirazioni di grandezza frustrate da un sistema ingiusto.
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