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Ghostbusters (id., 2016)
di Paul Feig

Nonostante la campagna d’odio nata intorno al nuovo Ghostbusters ancora prima che ne esistesse la sceneggiatura, centrata soprattutto sulla scelta di avere un cast femminile, il film di Paul Feig è carino e divertente. Ma proprio qui sta il suo problema principale. Se “carino e divertente” può andare bene per Le Amiche della Sposa o per Spy (forse il migliore dei suoi film), male si adatta alla mitologia di Ghostbusters. Se le gag di Kristen Wiig e Melissa McCarthy hanno creato un piccolo sottogenere interessante (e fruttuoso) nella commedia, applicate a quella che dovrebbe anche essere un’avventura seria, stonano. A far fallire clamorosamente il film dunque non sono le attrici coinvolte o le scelte di sesso ma la volontà di trasformare un’originale film di fantascienza venato d’umorismo in una commedia spensierata ambientata in un mondo di fantascienza.

Il nuovo Ghostbusters infatti proprio non è come il vecchio e questo dovrebbe essere il suo pregio principale. Non è un film che prende a ridere tutto tranne la minaccia che incombe sui personaggi, non è un film così radicato nella cultura e nel paesaggio newyorchese, né ancora è un film di spensierati disadattati che salvano il mondo con uno zainetto nucleare sulle spalle. Il nuovo Ghostbusters è un commedia in cui le parti d’azione non hanno vera sostanza e sono marginali rispetto agli scambi di battute. Fare confronti avrebbe poco senso se non fosse il film stesso a cercarli con un continuo omaggiare e citare il precedente, con richiami evidenti e chiari. Avesse utilizzato diverse tute, diversa automobile, diverse ambientazioni e senza magari il continuo comparire di vecchi personaggi in nuovi ruoli, forse questo reboot di Ghostbusters avrebbe avuto un suo senso, sarebbe stato realmente un remake con una sua autonomia, ma così no. Il continuo ricorrere ad espedienti dell’originale alle volte rimanendovi fedele, altre modificandoli genera solo fastidio in chi conosce il vecchio film e non appassiona il nuovo pubblico perché non fonda nessuna mitologia.

Paul Feig con Spy ha dimostrato che la parodia è un genere in cui riesce a muoversi bene, perché svicola l’azione e si concentra sulla parola. È quel che a tratti tenta anche in questo film, finendo però ben presto schiacciato dalle continue interazioni in interni che sostituiscono le scene in esterno, dai battibecchi che sostituiscono la suspense e le scene d’azione, dalle gag (magari anche riuscite) che interrompono gli eventi invece che essere inserite nel loro flusso. Ogni momento in cui c’è da agire è un momento comico, ogni azione è ridicola, è una gag e per questo distrugge ogni credibilità.
Il risultato è che non si crede a niente di questo film nemmeno per un momento. Non si crede ai suoi problemi e alle sue crisi, non si crede ai conflitti dei personaggi e non si percepisce per nulla la grande epica di un attacco fantasma a Manhattan. Rimane solo un lungo elenco di battute (divertenti davvero) e situazioni comiche.

Chi davvero pensa sia un problema di sesso sbaglia e di molto (donne o uomini cambia poco nella trama, di fatto non è adattata ai problemi o alle questioni specifiche delle donne, anzi ripete fastidiosamente il sessismo maschile solo ribaltato), qui il problema sta tutto nella voglia di appoggiarsi a idee e trovate di un film inserendole in un altro che a quello non somiglia per niente. È un problema di senso d’inadeguatezza ad un’impresa che se proprio doveva essere tentata necessitava di una revisione totale di ogni presupposto da parte di qualcuno con una testa vicina ad una sinossi d’azione.
Prima ancora che un remake sbagliato infatti, Ghostbusters è un film assegnato al filmmaker sbagliato, una commedia sbilanciata che sacrifica volentieri quelle parti d’azione che la sua trama chiamerebbe per qualche intermezzo d’umorismo in più.

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