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6.7.18

Estate 1993 (Estiu 1993, 2018)
di Carla Simon

Estate 1993 è un film fantastico anche se non lo sembra per niente. Anche se non ha nessuna componente che risalti, anche se non si fa notare per le sue scelte estetiche (in realtà sottilmente così coerenti da rimanere impresse), anche se non ha trovate narrative particolari. Racconta una bambina e lo fa con un livello di dignità umana e personale che impressionano, così difficili da incontrare che i suoi simili si contano sulle dita di una mano in tutta la storia del cinema. Frida ha circa 10 anni e capiamo subito sta cambiando casa, ma non con i suoi genitori, è successo qualcosa e sta andando a vivere in campagna con uno zio, sua moglie e la loro figlia che è più piccola di lei. Questo mistero che è tale solo per il pubblico tiene l’attenzione desta per tutta la prima parte del film, prima che sia possibile interessarsi davvero dei protagonisti.

Vediamo i primi mesi di questa vita rurale che non va proprio a genio a Frida, il rapporto complicato con la più piccola Anna e quello ancora più difficile con i nuovi genitori che chiama “mamma” e “papà” anche se non va daccordo con la prima ed è un po’ attratta dal secondo. Loro di contro sono comprensibilmente più attaccati alla figlia naturale. Le visite dei nonni non fanno che ribadire come il nucleo sia unito e complicato, oltre al desiderio di Frida di scappare, di rifugiarsi in piccole preghiere futili ad una madonnina in una nicchia.

Quello cui assistiamo con calma e senza nessun clamore è insomma l’evento più complicato nella vita di una bambina: la nascita di un nuovo nucleo familiare. Fattualmente ed emotivamente. Non ci saranno scombussolamenti se non di poco, non ci saranno terremoti se non piccoli (una fuga di notte, qualche pianto, un braccio rotto) e lentamente vediamo formarsi davanti a noi qualcosa di unico e strano, la nascita dentro una bambina di una consapevolezza nuova.

Talmente è sottile e abile Estate 1993 che arriviamo alla fine senza aver realizzato esattamente quanto di buono si è visto, tale era la naturalezza con cui scorreva davanti ai nostri occhi, è solo un piccolo pianto immotivato nella chiusa (un vero colpo di cinema da parte di Carla Simon, regista e sceneggiatrice esordiente) che spezza tutti gli indugi e si colloca come l’ultimo tassello di un grande puzzle, quello che consente di comprendere la grande figura e spiegare cosa abbiamo visto.

Frida ha maturato un sentimento che non conosceva, uno per il quale non c’è un nome e che si colloca a metà tra la profonda tristezza di una famiglia persa e la consapevolezza che la gioia per una nuova guadagnata è la pietra tombale sulla precedente, la vertigine emotiva della fine di un’era della propria vita in seguito alla fine dei suoi protagonisti. Un sentimento che compare all’improvviso ed è così forte e così difficile da gestire per una bambina che la fa piangere senza un perché. Ma noi lo capiamo.

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