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8.3.19

Cocaine: La Vera Storia di White Boy Rick (White Boy Rick, 2019)
di Yann Demange

Con la sua passiona smodata per i personaggi bigger than life, per il mascherarsi, per l’uso espressionista dell’accento locale e per la recitazione a tinte forti, Matthew McConaughey non manca mai in film come Cocaine: La Vera Storia di White Boy Rick. Nonostante sia un comprimario questo è il suo show, perché purtroppo non c’è niente altro che possa attirare l’attenzione del pubblico e perché questa è il tipo di disciplina da lui preferita: quella zona di confine nella quale essere stralunati e un po’ ridicoli ma centrare precisamente un tipo di carattere, donandogli all’improvviso sprazzi di grande umanità a tinte forti, possibilmente con gli occhi lucidi.

Del resto tutto Cocaine è una ricostruzione di un fatto vero che si basa più sulle maschere e i personaggi che sulla situazione e l’interazione. La storia di una famiglia mediamente derelitta che si rivolge regolarmente al crimine di piccola taglia con l’aspirazione di sfondare nello spaccio, non vale tanto per quel che accadrà ma per come reagiranno questi personaggi estremi, duri e presentati come imprevedibili.
A mancare però è proprio il film. C’è un’ottima ricostruzione d’epoca, ci sono le questioni criminali e quelle di polizia, c’è l’umorismo amaro e anche un nucleo familiare sui generis che rimane unito. Manca ciò che dà un senso alla loro parabola, manca una costruzione coerente e appassionante delle loro vicende.

Yann Demange sembra essere convinto che basterà creare i personaggi (tratti da quelli reali) perché questi trovino un senso. Invece in Cocaine davvero c’è poco oltre alla descrizione di quel mondo e di chi lo abita e non vuole nemmeno essere cinema descrittivo, quello in cui ciò che accade è secondario rispetto all’atmosfera, le persone e la comprensione profonda di alcune emozioni contraddittorie. Anzi questo film così scialbo vorrebbe acchiappare il pubblico con iniezioni ampie di melò, recuperi all’ultimo momento di persone drogate, terribili sentenze e lotte senza quartiere.
Potrebbe essere un film di David O’Russell, in cui dietro moltissimo trucco e protesi le interazioni familiari dicono tutto quello che dobbiamo sapere sul mondo dei protagonisti, se solo sapesse concentrarsi su quell’aspetto invece di disperdere le proprie energie in giro.

La mancanza di un arco narrativo vero che renda Cocaine digeribile comincia a farsi sentire dopo i primi 90 minuti, esaurito l’effetto piacevole, gli spunti strani e l’umorismo. A quel punto il film annaspa e comincia a sparare un po’ in tutte le direzioni, salvo arrivare a fine corsa rifugiandosi negli sguardi enigmatici del protagonista verso una bandiera americana che sventola. Che è davvero poco per un film che invece partiva con tutte altre ambizioni e tutt’altro stile.
L’umiliazione finale poi sarà, nelle ultime inquadrature, ridursi a filmare i primi piani delle gocce di lagrime che scendono sul viso.

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