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17.8.19

Kin (2018)
di Josh e Jonathan Baker

La storia di Kin è così semplice che il fatto che i fratelli Baker non siano riusciti a gestirla bene fa davvero pensare. Un ragazzino con famiglia difficile trova un’arma futuristica in un palazzone abbandonato. È un fucile potentissimo che funziona solo quando lo impugna lui. L’uscita di galera del fratello porta nuovi guai mal risolti scappando insieme. Per non mancare nessun capitolo del breviario del piccolo cinema d’azione, durante la fuga ci sarà modo di usare il fucile e fare amicizie strane.
Un ragazzino reso inusualmente potente dal possesso di questo fucile è l’ago della bilancia in una storia di piccolo crimine, debiti e fughe su cui è proiettata l’ombra dei misteriosi padroni dell’arma con caschi neri per proteggere il volto degli attori che li interpretano. Viene tutto da un corto dei due fratelli per l’occasione trasformato in lungo.

Talmente è scritto male Kin che riesce a far sembrare il fratello maggiore con tendenza ad incasinarsi la vita un emerito imbecille. Le decisioni, le svolte e gli atteggiamenti dei personaggi sono sbagliati ad un livello tale che la loro stupidità sembra l’unica spiegazione, generando un immediato fastidio verso questa fuga molto canonica, durante la quale una stripper (sempre vestita però eh!) si unisce al duo, trasformandolo in un terzetto con borsa piena di soldi e tanti segreti, in viaggio senza sapere di essere inseguiti dai proprietari del fucile.

Si capisce molto bene che ci vorrebbe essere tanta azione qui, unita a quell’idea comune ai cinecomics, di un grande potere nella mani di qualcuno che ci si deve abituare, un ragazzo come tanti con un’occasione come nessuno ne ha. Pensi di essere normale invece, “Ehi! Sei speciale!”. Ma i Baker evidentemente non hanno capito cosa ci sia di cool e interessante in questo tipo di storie e mettono in scena la loro come degli adolescenti invece che come dei professionisti, pensando che lo spunto basti ad avvicinare questo film ai suoi modelli, ignorando che invece ogni idea va coltivata, messa in armonia con le altre e riempita di senso dallo svolgimento.

Un finale a sorpresa (!?) alla fine svelerà la portata di afrofuturismo in stile Black Panther di un film che sembrava tutt’altro. Se l’intento era stupire con la chiusa Kin ci riesce, se l’intento era fare un film appassionante invece fallisce, se, come sembra, era far partire un franchise è un tonfo già alla seconda scena.
Ad oggi che un film del genere finisca in sala è una vera rarità e ci appare inspiegabilmente sfuggito alle strette maglie che Netflix ha istituito per irretire tutte le opere di questa grandezza e mancanza di impegno.

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