Girato nello stesso anno di Mancia Competente (anno in cui Lubitsch girò altri tre film (la produzione di industriale di una volta...)), questo L'Uomo Che Ho Ucciso è completamete diverso, distante moltissimo, non solo dal precedente film, ma da tutta la filmografia in genere di Ernst Lubitsch.
Un dramma post-bellico sulla difficoltà di ricostruire un processo di pace e sul tema abbastanza scontato dell'uguaglianza dei popoli davanti al dolore per la morte.
Inizia alla grande, con dei dettagli da grande maestro che in un certo modo (per idee, sovraesposizione e delicatezza) mi ricordano un po' Eisenstein e Griffith, peccato che dopo l'inizio si perda questa componente estetica melodrammatica e si sconfini un po' nel patetico.
Tutto facile e tutto scontato il dramma del soldato francese, musicista sensibile, che si reca dalla famiglia del soldato tedesco che ha ucciso durante la guerra senza però avere il coraggio di dire di esserne l'omicida. Troppo scontata la diffidenza della gente del luogo verso un francese e troppo risolutivo l'innamoramento con la fidanzata dell'uomo ucciso, con relativa accettazione dei genitori.
L'unico elemento di complessità è la volontà alla fine di non dichiarare il proprio crimine, scegliere una soluzione di menzogna che però soddisfa i genitori, dimostrando la non universale verità del principio secondo il quale la menzogna è il male.
Curiosissimo il fatto che Lubitsch anche in questo che è un dramma, pur se dai toni pacati, dirige gli attori e redige la sceneggiatura come si trattasse di una commedia: piccoli gesti, piccole espressioni facciali e situazioni ad incastro sempre sul punto di esplodere. Un'operazione che in fondo fa anche Almodòvar quando gira dei drammoni, del resto anche lui ha iniziato con le commedie e si è formato con quelle. Dev'essere l'abitudine a concepire l'incastro come modalità espressiva...
Un dramma post-bellico sulla difficoltà di ricostruire un processo di pace e sul tema abbastanza scontato dell'uguaglianza dei popoli davanti al dolore per la morte.
Inizia alla grande, con dei dettagli da grande maestro che in un certo modo (per idee, sovraesposizione e delicatezza) mi ricordano un po' Eisenstein e Griffith, peccato che dopo l'inizio si perda questa componente estetica melodrammatica e si sconfini un po' nel patetico.
Tutto facile e tutto scontato il dramma del soldato francese, musicista sensibile, che si reca dalla famiglia del soldato tedesco che ha ucciso durante la guerra senza però avere il coraggio di dire di esserne l'omicida. Troppo scontata la diffidenza della gente del luogo verso un francese e troppo risolutivo l'innamoramento con la fidanzata dell'uomo ucciso, con relativa accettazione dei genitori.
L'unico elemento di complessità è la volontà alla fine di non dichiarare il proprio crimine, scegliere una soluzione di menzogna che però soddisfa i genitori, dimostrando la non universale verità del principio secondo il quale la menzogna è il male.
Curiosissimo il fatto che Lubitsch anche in questo che è un dramma, pur se dai toni pacati, dirige gli attori e redige la sceneggiatura come si trattasse di una commedia: piccoli gesti, piccole espressioni facciali e situazioni ad incastro sempre sul punto di esplodere. Un'operazione che in fondo fa anche Almodòvar quando gira dei drammoni, del resto anche lui ha iniziato con le commedie e si è formato con quelle. Dev'essere l'abitudine a concepire l'incastro come modalità espressiva...
3 commenti:
questo titolo non compare nella lista dei film a destra... PROVVEDERE SUBITO! Se arrivasse una Blogstar che figura ci facciamo!!! IL blog deve essere in ORDINE santo cielo cos' è tutto questo casino!!!
ma la scena iniziale dei soldati in chiesa inginocchiati con le spade, non e' da brividi? e terribilmente attuale?
E' bellissima, mi ricorda Giglio Infranto.
E poi quel lungo carrello su lui che èè l'unico rimasto a pregare....
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