Non ci sono dubbi sulla riuscita grafica e sulla portata di Il libro della vita. Il film di Jorge R. Gutierrez è una festa per gli occhi.
L'impressione che se ne ha a prima vista è confermata lungo tutto lo svolgersi del film anche nei dettagli, l'impatto delle panoramiche non è diverso nelle composizioni delle inquadrature più ravvicinate, negli stacchi di montaggio da Bill Plympton (ma con una cura visiva da illustratore) e nei movimenti dei personaggi. Insomma è un film dalla fattura mostruosa, dotato delle caratteristiche del kolossal, ovvero quel connubio di ambizioni smisurate e cura minuziosa di una lunga quantità di dettagli. Eppure crolla là dove non dovrebbe: nella storia.
Spalleggiato da Guillermo Del Toro questo lungometraggio animato in computer grafica che si diverte a giocare con le marionette (i personaggi sono quelli di una storia raccontata all'interno del film e per questo sono come marionette agite da un narratore esterno), racconta di una grande lotta tra due spiriti della morte e, nello sfondo della grande tradizione dei morti messicana, inserisce una mitologia "pompata" per rispondere alle dinamiche narrative da cinema hollywoodiano. La morte (con le sembianze di una bella donna in costume tradizionale messicano) e Xilbaba (spirito di un regno dei morti triste e non gioioso come quello ufficiale) fanno una scommessa: chi tra Manolo e Joaquin conquisterà Maria? I due uomini sono uno un prode combattente, l'altro un torero controvoglia, in realtà appassionato chitarrista, entrambi innamorati della medesima donzella, presto in pericolo.
Mentre Joaquin più spavaldo e quindi scialbo si rivelerà troppo interessato alle apparenze, Manolo viaggerà attraverso la magnificenza del regno dei morti messicano per salvare Maria.
Una trama non semplice narrata con una certa difficoltà, soprattutto contaminata da diversi elementi di attrattiva che non sono gestiti come meriterebbero. Espedienti tipicamente disneiani come gli aiutanti comici, i parenti assurdi e le molte declinazioni di nemici e comparse sono privi della verve che il film stesso sembra desiderare attribuirgli e anche le prove che il protagonista dovrà superare non hanno le caratteristiche di ardore che dovrebbero. Tutto sacrificato su dinamiche molto retroguardiste di cavalieri senza macchia e donzelle che cercano l'amore, specie in anni di Frozen e Rapunzel.
Rapiti da un impianto visivo senza pari e dalla foga con la quale Gutierrez sembra infilare dettagli su dettagli su dettagli in ogni inquadratura, si rimane facilmente impermeabili a ciò che racconta Il libro della vita, di fatto vanificando il grande sforzo estetico.
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