CONCORSO
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA
C’è un’ambizione profonda e consapevole in Mother!, il primo film di Darren Aronofsky che rifiuta di lavorare assecondando la logica ma procedendo con un misto di narrazione e suggestione, imbastendo un’allegoria così gigante, onnicomprensiva ed evocativa da prestarsi a tantissime interpretazioni e letture diverse. Stavolta è andato anche più in là di quanto tentato con The Fountain.
In questo film tutto primi piani in cui per la prima metà c’è il lavoro minimo sull’immagine ma massimo sul sonoro (quello sì magistrale) e sul suo ruolo nella comprensione di ciò che accade, una coppia che abita in una casa di campagna (per aiutare lui a trovare l’ispirazione per le sue poesie) riceve la visita di qualcuno, uno sconosciuto che, di evento in evento, porterà con sé altra gente fino a che tutti perdono il controllo. Forse.
La vita sentimentale, l’ispirazione, l’arte, i ruoli di uomo e donna, la generazione di una nuova vita ma paradossalmente anche i social network, la nuova gestione della fama, il rapporto con gli altri e la necessità di ripartire dalle ceneri di un rapporto per crearne un altro, c’è tutto questo ma anche nulla di tutto ciò in Mother!, visto come incede a grandi passi nel territorio dell’onirico e del metaforico, aprendosi di continuo strade diverse. La casa/alcova marcisce o rinasce assieme alle peripezie dei personaggi, fiorisce e deperisce assieme alla madre del titolo, viene distrutta ma anche alimentata dagli sconosciuti che sono accolti o la invadono. Aronofsky sembra intenzionato a descrivere il mondo complesso di sensazioni contrastanti che nasce nell’intimo di una donna, senza però controllare mai questo flusso surreale. Il risultato è un film che è facilissimo odiare anche ben oltre i suoi difetti.
Addirittura Mother! è così denso di riferimenti ed eventi diversi, fa così tanto appello (nella seconda parte) a tanti tipi diversi di immagini a noi note, da rimandare in certi punti alla Bibbia (suggerita non solo dalla generazione di una nuova vita ma anche da alcuni elementi portati in dono, vassoi, frutta, calici…) oppure all’immigrazione. Specie quest’ultimo dettaglio spiega bene quanto Mother! sia esagerato e delirante a tratti, delirante fino a sembrare il più grande film involontariamente anti-immigrazione mai visto. E di certo il suo impianto metaforico molto semplice non lo aiuta (lo scantinato sede dell’inconscio, il diamante simbolo di una purezza desiderata da tutti ma fragilissima…) come non aiuta il fatto di puntare a suscitare un potente senso di fastidio nello spettatore.
Non si può insomma dire certo che Aronofsky stavolta abbia giocato sul sicuro. Purtroppo nemmeno che sia riuscito nel suo intento.
Mother! è un piccolo fallimento magnifico, in grande stile sia per intenti e che per realizzazione, ma troppo vago e allusivo nei momenti chiave per rimanere in piedi. Troppo indeterminato, privo di reale ispirazione o della coerenza utili a creare quel contrasto tra un potente disagio e una strana palingenesi a cui tanto anela. Il primo (il disagio) è forte è chiaro, è la sensazione che questo regista sa creare meglio, invece la seconda, l’esigenza di costruire e di stare insieme, il bisogno di un altro al netto delle frustrazioni e delle incomprensioni è molto più vago e affidato al buon cuore di uno spettatore probabilmente imbufalito.
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