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2.8.19

Hotel Artemis (id., 2019)
di Drew Pearce

Un giorno qualcuno dovrà fornire una spiegazione esaustiva sul perché Dave Bautista sia costantemente sottoutilizzato. È forse il miglior wrestler-attore di sempre, ogni ruolo che interpreta lo cesella bene, non ripete mai due volte un carattere ed ha una gran presenza, eppure lo vediamo sempre per poco. Marginale. È così anche in Hotel Artemis dove ha un personaggio fantastico, un infermiere dedito, preciso e molto serio con il suo lavoro che consiste nell’assistere pazienti e spaccare ossa a chi crea problemi. È l’uomo che si sporca le mani nel duo che anima Hotel Artemis composto da lui e dalla dottoressa traumatizzata, anziana ma infaticabile di Jodie Foster.

Il vero colpo che mette a segno Drew Pearce (al primo film scritto e diretto) sono loro due, un cuore molto molle e molto morbido, pieno di guai e problemi, poco lieto, parecchio depresso di un film che altrimenti poteva anche avere tutte le carte in regola per essere l’ennesimo tentativo di franchise in serie. Nel sottobosco criminale burocratizzato e pieno di gentiluomini di John Wick (nonostante non abbia quell’estetica dandy-hipster-marziale l’interno dell’hotel sembra proprio l’esaltazione del divano Chesterfield che è la serie con Keanu Reeves) aggiornato alla sveltezza dei B movie che frequenta spesso Bautista (fa ridere ma anche in quelli molte volte è marginale e compare poco, si vedano Escape Plan 2 e 3), qui c’è un hotel-ospedale per criminali, una terra franca dove non ci si fa la guerra ma si viene curati senza troppe domande. Fuori dall’hotel: il futuro.

Siamo a Los Angeles in un futuro vicino in cui manca l’acqua e la popolazione è infuriata. Tanto basta ai criminali per darsi alla pazza gioia.
Nella notte del film arrivano all’Artemis rapinatori falliti, una donna misteriosa e letale, un ricco scemo, una poliziotta uscita dal passato della dottoressa, un figlio con problemi di relazione con il padre e addirittura il grandissimo boss che ha fondato l’Artemis (un applauso vivo alla decisione di farlo interpretare a Jeff Goldblum). Tanti personaggi e poca capacità di gestirli fanno sfociare la parte centrale del film nella dispersività, per fortuna interviene “il grande segreto”.

MacGuffin perfetto, il grande segreto che la protagonista viene a scoprire dà al film sufficiente carburante per arrivare a gran velocità fino al finalone in cui addirittura fa sfoggio di ottime coreografie d’azione (particolarmente buona quella lunga e complicata che comprende Sofia Boutella per la prima volta davvero in palla!).
Ma come accennato all’inizio è il cuore morbido dentro la scorza dura che fa vincere il film, così in un mondo allo sbando tutto crolla davvero solo quando la vita della protagonista (e del suo infermiere) sbanda ancor di più di quanto non avesse già fatto.

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