CONCORSO
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA
In una villa vicino Marsiglia alcuni amici sono riuniti dopo tanti anni. Alcuni hanno preso strade che gli altri non condividono, altri sono più soddisfatti, tutti hanno qualcosa da rimpiangere e si guardano indietro con rabbia se non con tristezza. Non è certo una situazione lieta quella che li riunisce e, nonostante una profonda amicizia e comunanza, i cambiamenti nelle loro vite (e nel mondo) li portano a discutere e sfruttare quell’occasione forse per un cambiamento.
Sembra di assistere insomma al film italiano distribuito in sala d’estate di Caro Diario in tutta la prima metà di La Villa, quel cinema che rimpiange qualcosa, in cui i personaggi si pentono oppure ricordano con affetto la gioventù idealista, sono tristi e abbattuti perché il mondo non è più quello di una volta.
Ad essere sempre immutabile è invece il cinema di Guediguian, con la sua usuale compagnia di giro d’attori e ambientato nei suoi luoghi tipici. Soprattutto con il suo consueto orgoglio intellettuale e il suo terribile compiacimento verso i propri ideali.
Questa storia di buona alta borghesia francese politicamente responsabile non solo rappresenta se stessa con il massimo del compiacimento (anche nei fallimenti), ma si contorna di un universo popolare che accetta solo quando a sua immagine somiglianza. Se c’è un pescatore nella storia sarà un grande amante del teatro che cita le opere a memoria.
I contrasti messi in campo dagli amici ritrovati saranno allora quelli tipici del salotto buono: giovani impiegati e anziani messi in pensione oppure ricchi acculturati infelici e poveri ma sognatori con il barchino. Tutto all’insegna del ricordo individuale che si mescola con quello pubblico, politico e sociale, come eravamo noi e come era il nostro mondo. A questo fa riferimento però una scena bellissima, scollata dal resto del film ma dal sentimentalismo nostalgico coinvolgente, che irrompe nella storia come un fulmine a ciel sereno: è un segmento da Ki Lo Sa, il film del 1986 di Guediguian in cui i medesimi attori sono giovani. È il momento con I Want You di Bob Dylan in cui vanno in gita e appare come un loro ricordo in pellicola sgranata benchè i personaggi poi non siano gli stessi.
Come se non bastasse a metà film arrivano i migranti, che Guediguian non manca di mettere a servizio del desiderio del film di posizionare se stesso. Giusti e democratici i personaggi li accoglieranno e nasconderanno dall’esercito, chiedendosi cosa sia più morale fare. Migranti bambini senza genitori, muti e spaventati, una combinazione mortale di pietismo e un’occasione irrinunciabile per mostrare una quantità intollerabile di controcampi sullo sguardo così afflitto dei protagonisti mentre osservano i bambini migranti che hanno accolto. Come se il dolore più grande fosse quello di chi da posizione privilegiata osserva le tragedie d’attualità politicamente rilevanti. L’uso più immorale e vanesio possibile della posizione più umana da prendere.
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